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Telegiornaliste anno XI N. 26 (457) del 13 luglio 2015
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TGISTE Dalla
nostra corrispondente:
a Saxa Rubra con… Barbara Carfagna di
Silvia Roberto
La conosciamo come una delle telegiornaliste più brave e più in gamba
della televisione italiana. Ma come è arrivata all’apice della sua
carriera? Quale i suoi primi passi da giornalista e quale la svolta che
l’ha portata a lavorare in Rai? Intervistiamo oggi
Barbara Carfagna, con una grande passione e una brillante
carriera in campo giornalistico.
Proviene da una famiglia di musicisti. Suo padre, il maestro Carlo
Carfagna, è un noto chitarrista e studioso di musica; è stato allievo di
Natalino Sapegno e ha insegnato all’Università a grandi artisti come
Goffredo Petrassi. Lei stessa è una violinista, ha studiato al
Conservatorio di Santa Cecilia. Però ha deciso di non seguire le orme
del padre: come mai?
«Non ero brava quanto lui e sarei sempre stata la figlia di... ho
preferito invece affermarmi per qualcosa di mio, che mi piacesse: il
giornalismo».
Perché ha voluto intraprendere proprio la carriera giornalistica? C’è
stato un momento particolare della sua vita che Le ha fatto capire che
avrebbe dedicato la sua vita al giornalismo?
«Ho cominciato con la carta stampata, quindi con l’ambizione di voler
fare la giornalista. Non avevo l’obiettivo di condurre il telegiornale:
un giorno vidi una puntata di Mixer sul mostro di Rostov; rimasi
talmente affascinata dal modo di condurre di Giovanni Minoli e da quel
tipo di giornalismo d’inchiesta, molto all’avanguardia per quei tempi
con uno stile molto americano che decisi, quel giorno, di intraprendere
la carriera giornalistica con la promessa che un giorno avrei lavorato
con Minoli. Mi piaceva l’idea di un giornalismo di inchiesta e
approfondimento come Mixer. Poi, con determinazione ma anche
aiutata da circostanze abbastanza casuali, esattamente dieci anni dopo,
mi ritrovai a lavorare con lui».
Quale è stato il suo primo articolo?
«Il primo articolo è stato su un ex orfanotrofio e ospedale abbandonato
nella campagna romana: lo scrissi su giornale circoscrizionale, La
Quarta, pubblicato poi anche sul Quirino».
Con i suoi reportage, che l’hanno insignita di importanti premi, ha
svolto e portato avanti tanti approfondimenti: ma c’è un settore che le
interessa maggiormente?
«Ho cominciato con la cronaca per poi passare agli esteri: quello che mi
interessa è la natura umana. Ho sempre considerato l’aspetto
antropologico determinante. L’elemento che orienta gli eventi nella
casualità; l’interazione con l’ambiente e con la storia, come i
contesti, influiscono sull’individuo. Da 5 anni mi son specializzata in
tecnologia legata all’ambito umanistico; studio come l’intelligenza
artificiale, le macchine e la tecnologia stanno cambiando l’uomo. Una
rivoluzione che ci fa riconsiderare l’essere umano alla luce del fatto
che non è più l’unica intelligenza ad agire nel mondo. Esiste anche una
intelligenza artificiale che agisce ed è determinante quanto l’uomo: le
macchine sono superiori, nel 2020 saranno 30 miliardi; gli umani,
invece, 7 miliardi. Cambierà tutto: già lo stiamo vedendo».
Il telegiornalismo quindi può essere uno strumento e un mezzo per far
veder questo cambiamento?
«Assolutamente sì: è il mezzo migliore; su Internet ci si rivolge a
persone che già conoscono questo mondo; in televisione si trasmette
questo sapere a persone che magari sono di un’altra generazione o che
per esempio non hanno neanche lo stimolo ad entrare in un mondo a loro
sconosciuto o quasi».
C’è una certa o netta differenza tra la televisione USA e quella
Italiana?
«Fondamentalmente no; quello che è diverso è l’approccio».
La figura femminile, la donna nel mondo del lavoro ha fatto fatica ad
affacciarsi ed inserirsi. Ritiene che la televisione sia stato un mezzo,
uno strumento per dar voce anche alle donne?
«Assolutamente sì: diciamo che siamo passate per varie fasi; nel
telegiornalismo all’inizio le donne venivano notate e impiegate più per
ruoli d’immagine; successivamente si è fatta strada la figura
dell’inviata di guerra; adesso il processo si è evoluto a tal punto che
molte donne del mondo della televisione sono diventate anche
direttrici».
Il telegiornalismo, il mondo della spettacolo e della televisione è
sempre stato molto competitivo: lei, che più di tutte vive
quotidianamente davanti alle telecamere ci può confermare questa tesi? E
se sì secondo lei la competizione è positiva o negativa?
«Di per sé la competizione è positiva, ma bisogna sempre seguire delle
regole. Il senso di competizione incentiva la ricerca della notizia e
credo sia anche molto stimolante; adesso però c’è una tale mole di
informazione da attenuare la componente competitiva in favore di quella
collaborativa».
Quale la cosa che le piace di più del suo lavoro?
«Essendo una persona molto curiosa quello che mi piace di più è
sicuramente la possibilità di approfondire e andare a verificare la
notizia; un’altra componente importante ritengo però sia presentare la
verità senza filtro morale o ideologico, ma in maniera etica, e
soprattutto, nella forma corretta e dando voce a tutti».
Un aggettivo per descrivere il suo lavoro?
«Un solo aggettivo è difficile dirlo; diciamo che si parte, secondo me,
dalla curiosità: l’essere curiosi offre una possibilità di crescita e di
sviluppo del senso della conoscenza».
Una domanda crudele: se dovesse scegliere tra la musica e il
giornalismo?
«In realtà ho già scelto: il giornalismo. Ciò nonostante chi è dotato
musicalmente arriva a raggiungere una dimensione molto più rara ed
elitaria. Un viaggio introspettivo più interno che esterno; a chi ha
vere doti musicali dico: chi ha talento non lo sprechi».
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NONSOLOMODA Periscope: è streaming mania.
L’on demand viaggia sempre di più sul web! di
Francesca Succi
dal blog
TheGlossyMag del 7 luglio 2015
La mia vita, oltre all’amore, al cibo e al lavoro è
contraddistinta anche da diverse applicazioni salvate
sull’Iphone, l’Ipad e l’Ipod (sono Appleiana o Jobsiana? Sì, lo
sono e pure convinta perché iOS migliora le abitudini
quotidiane).
Nel bouquet giornaliero di applicazioni, da qualche settimana,
ho aggiunto Periscope.
Cos’è?
Periscope è un’applicazione per trasmettere in diretta video
con il supporto social streaming di twitter.
Come funziona?
Ogni account è un canale web dove poter mandare in onda i
propri contenuti video senza limiti di tempo e spazio. Si
scarica l’app, ci s’iscrive attraverso twitter e s’inizia a
trasmettere video attivando la camera anteriore o posteriore di
uno smartphone o tablet.
Cosa ne penso?
Dopo tre trasmissioni gestite su temi diversi (cibo, accessori
e benessere), tutti riconducibili al blog, le mie prime
impressioni su Periscope sono positive: facile, intuitivo,
immediato, interattivo e senza limiti di tempo. Chi si unisce
alla diretta può interagire attraverso la chat oppure
timidamente definire la preferenza alla trasmissione attraverso
i cuori che sono paragonabili ai like di facebook. I cuori per
Periscope servono per l’indicizzazione del profilo: più hai
cuori e più sei popolare e ovviamente sarai facilmente
reperibile tra le ricerche come Periscope-Star. Inoltre, le
trasmissioni video, tra quelle recenti, possono essere viste e
riviste anche in replica (e ogni utente tramite il suo account
può controllare chi ha rivisto in replica la trasmissione).
Limiti
Uno dei limiti sicuramente è che ad oggi il social con cui
potrete essere avvertiti delle dirette di un account – a parte
Periscope stesso – è proprio twitter grazie ad una opzione
dell’app da definire prima dell’avvio della trasmissione. Per
questo i competitors hanno cercato di differenziare integrando
social diversi: ad esempio Streamago di Tiscali funziona nella
stessa ottica ma avvisa e permette la diretta con facebook.
Altro limite per me, che viene definito punto di forza da
alcuni ed è una particolarità di Periscope, è la trasmissione
video verticale che facilita i soggetti in video ma taglia le
panoramiche.
Strizza l’occhio alla televisione
Da giornalista con il pallino del video il primo pensiero è
stato: bene, ora ho una televisione tutta mia dove posso
gestire il palinsesto con un pubblico illimitato; cosa che ad
esempio Youtube non è, o meglio, potrebbe diventarlo solo a
distanza di tempo. Invece Periscope è immediato perché il
pubblico arriva come api sul miele!
Ma attenzione: Youtube e Periscope sono due strumenti diversi
per numerosi motivi tecnici, ma possiamo ben dire che
quest’ultimo è più veloce e con il tempo potrebbe dare del filo
da torcere al figlio di Google.
Si può usare anche livello professionale?
Si deve usare per il business! Le app, non dimentichiamolo,
sono business per il business. E questa, come tante altre e le
stesse facebook, twitter, instagram e via dicendo, permettono
di comunicare per consolidare la propria attività. Come sempre
però è inutile generalizzare: occorre prestare attenzione alla
tipologia dell’attività di cui stiamo parlando e soprattutto ai
contenuti condivisi. Sempre, ma in particolare in questo caso,
è bandita l’improvvisazione.
Conclusioni:
1. Secondo la mia esperienza il momento della giornata migliore
per trasmettere è il mattino dove ho avuto più pubblico in
assoluto.
2. La definizione della localizzazione aumenta la possibilità
di essere seguiti da un pubblico più vasto nella propria zona
(in una trasmissione si è collegato un ragazzo di Carpi per
dire).
3. Quasi tutti quelli che hanno un account Twitter sono
sbarcati su Periscope, ma pochissimi (mediamente un 10%) lo
utilizzano in maniera attiva per trasmettere: ci sono molti
spettatori ma pochi creatori di contenuti e questo è un bene
per chi vuole crearsi un proprio pubblico e ottenere
popolarità.
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Francesca
Lancini: progetti al Top
di Sara Ferramola
Bresciana, un passato nel mondo del tennis e della moda,
incontriamo uno dei volti emergenti della televisione:
Francesca Lancini.
Francesca, lei ha fatto diverse cose nella sua vita: dal
tennis alla moda e alla scrittura: queste passioni, molto
diverse tra di loro come sono nate? E come convivono tra di
loro?
«Hanno scandito le fasi della mia vita: il tennis è iniziato
all'età di 7 anni ed è andato avanti per dieci; poi la moda,
che mi ha consentito l'indipendenza economica e mi ha
aiutato a trovare la strada della scrittura, che è arrivata
dopo la laurea, quando ho iniziato a scrivere il mio primo
romanzo, Senza tacchi, che qualche anno dopo è stato
pubblicato da Bompiani».
Com'è stato condurre il programma
Top-Tutto quanto fa tendenza?
«In Top, che a fine luglio ricomincia al sabato
pomeriggio, ho intervistato molte persone diverse tra loro,
da Patty Pravo a Roberto D'Agostino, ed è stato bello
confrontarmi ogni volta con mondi nuovi per provare a
raccontarli allo spettatore».
Fare la modella è una cosa e la moda un'altra: che
rapporto ha ora con quest'ultima?
«Il pensiero di dover andare in un negozio, frequentare
camerini e commesse ossequiose mi ha sempre inquietato: io e
la moda abbiamo iniziato ad andare d'accordo quando ha preso
piede l'e-commerce; la moda in realtà è solo uno dei modi
che abbiamo per esprimerci, la vera difficoltà è lavorare
sul resto».
A cosa sta lavorando ora?
«Alcuni progetti per il cinema e una ricerca forsennata per
l'idea del prossimo romanzo».
Progetti per il futuro?
«Una luna di miele».
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PINK NEWS La
cicatrice dell'anima medicata dalla garza della giustizia
di Daniela D’Angelo
È di pochi giorni la lapidaria sentenza, emessa dal
Tribunale di Modena, che ha prosciolto quattro ragazzi
dall'accusa di un presunto stupro di gruppo ai danni di una
sedicenne.
Venti pagine che illustrano le motivazioni che hanno
portato il Gup di Modena Eleonora de Marco a decidere di
assolvere due ragazzi perché il fatto non costituisce reato,
e gli altri due perché, dalle ricostruzioni effettuate,
sembrerebbe che non abbiano partecipato in alcun modo
alla violenza in atto.
La vicenda è avvenuta nell'agosto del 2013, in una calda serata
estiva, durante lo svolgimento di uno dei tanti party a
bordo piscina in una villa della Modena bene; la
ragazza ha raccontato di essere stata avvicinata dai ragazzi
nel bagno dello spogliatoio e di aver subito abusi da ciascuno
di loro, i quali avevano approfittato dello stato di
ubriachezza di lei.
La giovane non ha opposto resistenza, non ha chiamato
aiuto, non ha gridato (forse perché in preda a uno stato
confusionale generato dall'alcol ingerito): per queste ragioni
secondo il Gup si è trattato di un rapporto sessuale
consensuale. Certo, nessuno potrà mai sapere la verità
sugli avvenimenti di quel giorno se non i protagonisti, ma le
motivazioni che hanno condotto alla sentenza fanno molto
riflettere e la stessa sentenza può risultare un
baluardo inattaccabile per i casi futuri di violenza.
Non sempre di fronte a una violenza tutte riescono a reagire
in un modo predeterminato: urlare, graffiare,
dimenarsi non sono gesti dettati da un copione, a volte anche
una lacrima che riga le guance può essere l'unica
reazione che la vittima riesce a esternare di fronte al
terrore di quegli attimi infiniti.
Essere donne al giorno d'oggi costituisce un timore,
un timore generato non solo dalla presenza di individui
“famelici”, ma alimentato anche dalla giustizia
alcune volte: essere vittima di violenza è una ferita profonda,
una ferita che va oltre il dolore fisico: è una
cicatrice dell'anima, un incubo che si presenta ogni
sera quando si chiudono gli occhi, una bruciatura
che compare ogni qualvolta che qualcuno ci sfiora la pelle.
Molte sono purtroppo le donne protagoniste di queste orribili
vicende, ma poche sono quelle che le denunciano, vuoi
per paura, vuoi per non attirare l'attenzione, vuoi per
sfiducia nei confronti della giustizia.
Ma così non dev'essere! Da una parte le donne devono
prendere coraggio, lottare, urlare al mondo di
essere fiere di essere nate donne denunciando e
difendendo i loro diritti, dall'altra parte invece la
giustizia dev'essere una garza che possa medicare quelle
cicatrici dell'anima. |
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Isabelle
Adjani, 60 anni di fascino e carattere
di Deborah Palmerini
Enfant prodige per bellezza, fascino e
bravura, anche oggi che ha compiuto sessant’anni: è
Isabelle Adjani, attrice e cantante francese fra
le più amate, di certo la più premiata grazie a
interpretazioni memorabili per il grande schermo.
Isabelle Yasmina è nata a Parigi da padre
algerino e madre tedesca; nel suo dna si mesce una
triangolazione di patrimoni genetici che le ha donato
una fisicità e una bellezza uniche e
ineguagliate. Inizia a calcare le scene teatrali da
bambina e la prima parte al cinema la ottiene appena
quattordicenne: non passa inosservato il suo fascino,
a tratti puro e cristallino a tratti malizioso e
inquieto, e i più grandi registi francesi le offrono
parti memorabili che le valgono numerosi riconoscimenti
nazionali e internazionali, e due candidature al premio
Oscar.
È l’unica attrice francese ad aver vinto cinque volte
l’Oscar francese, il Premio César, come miglior
interprete femminile. Alterna il cinema al teatro, sua prima
passione, ottenendo importanti successi in particolare fra i
primi anni ’70 e la fine degli anni ’80.
Canta anche ma, dopo un primo 45 giri di grande
successo in collaborazione con Serge Gainsbourg e
Luc Besson, la carriera nella musica non decolla.
Madre di due ragazzi avuti da due relazioni, anche nella
vita privata ha sempre dimostrato forza,
coraggio e carattere. Non rinnega le origini
berbere anzi, crea scandalo fra i francesi quando
protesta contro il presidente del Paese per la mancanza di
diritti civili, rifiutando di presenziare ad una cena in
onore di questi nel palazzo dell’Eliseo, e va a trovare
un cantante della sua stessa regione algerina di origine, la
Cabila, quando è ricoverato dopo essere rimasto vittima di
un accoltellamento.
Così come è stata premiata sulle scene per aver dato corpo,
voce e spessore a figure femminili intense, inquiete e
inarrivabili, la bellissima Isabelle Adjani dovrebbe esserlo
anche per il carattere e la solidità che da sempre dimostra
nella vita, mai esposta alla mondanità effimera,
all’immagine senza contenuti.
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