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Telegiornaliste anno XI N. 23 (454) del 22 giugno 2015
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TGISTE Chiara
Zammitti. La soddisfazione di fare informazione sul territorio
di Giuseppe Bosso
Incontriamo Chiara Zammitti, da anni volto della redazione sarda del
Tgr.
Ricordi la tua prima volta in video?
«Devo dire di no: sicuramente era per
Canale 10, una televisione privata del litorale romano, la prima
redazione televisiva in cui abbia mai lavorato. E probabilmente si
trattava di una diretta per un omicidio, ma non metteteci la mano sul
fuoco. Sono passati davvero molti anni e la tv non è il mio vero amore:
sono più una “radio maniaca” prestata al video».
Ti abbiamo vista a Lampedusa, ‘punto caldo’ del Mediterraneo ora più
che mai per la minaccia rappresentata dall’Isis: cosa ricordi di
quell’esperienza e cosa ti ha lasciato, non solo dal punto di vista
professionale?
«È stata un’esperienza molto formativa dal punto di vista professionale,
ma soprattutto umanamente molto impegnativa: mi sono occupata per dieci
anni di sociale, e forse se non fossi stata giornalista fino al midollo
nella vita avrei fatto l’operatore socio-assistenziale. A Lampedusa
soprattutto in quel periodo la difficoltà maggiore è stata capire le
dinamiche di una piccola comunità di 6.000 abitanti che era obbligata a
interagire con altrettanti migranti in fuga dalla guerra e dalle
persecuzioni politiche: due situazioni di estremo disagio messe l’una di
fronte all’altra, in una inevitabile lotta tra disperati, abbandonati da
tutti. Compreso uno Stato che si definisce democratico, come il nostro,
ma che di fatto non ha saputo tutelare i diritti né degli uni né degli
altri».
Pro e contro di essere giornalista in Sardegna, una terra bella e
difficile.
«Non è tanto il fatto di lavorare in Sardegna, quanto la possibilità di
fare informazione sul territorio a darmi molta soddisfazione; credo nel
servizio pubblico e penso che il modo migliore per farlo sia
l’informazione di prossimità. E davvero qui, per la prima volta dopo
tanti anni, ho la possibilità di raccontare da dentro le dinamiche di
una terra intrigante, com’è la Sardegna: difficile anche, sì, perché
molto complessa. E diversa; diversa da tutte le altre. Ma un occhio
esterno credo la possa decifrare con meno pregiudizi e condizionamenti».
Cliccando il tuo nome scopriamo che hai anche subito una querela per
un servizio ritenuto diffamatorio da un movimento indipendentista sardo.
Senza entrare nel merito della vicenda specifica, il fatto di essere
esposti al rischio di denunce non rischia di bloccare un giornalista?
«Non è la sola; e non sarà l’ultima. Nell’ambiente, si dice che se un
giornalista non ha sulle spalle almeno una querela per diffamazione vuol
dire che non dà fastidio, e se non dà fastidio non sta facendo il suo
lavoro. Detto questo, il nostro è un lavoro che richiede scrupolo nella
verifica delle notizie e meticolosità nel raccontarle, spesso con tempi
più che contingentati. Il secondo fattore da tenere in considerazione è
che spesso si viene querelati anche senza motivo e senza che chi si
ritiene leso dal servizio chieda prima almeno una rettifica. Questo può
essere un deterrente, soprattutto per chi lavora con contratti precari e
senza tutele. Poi però c’è l’animo del giornalista: perché giornalisti
si è, non lo si fa; e chi è giornalista non può non dare una notizia.
Senza preoccuparsi delle conseguenze: non può farne a meno».
Qual è stata la tua più grande soddisfazione?
«Mi soddisfa fare il mio lavoro al meglio delle mie possibilità, ogni
giorno; dare le notizie è la soddisfazione più grande. Devo dire però
che vedere che alcuni dei reportage che ho girato per il programma
Crash di Rai Educational hanno ricevuto un
apprezzamento tale da arrivare a concorrere in una serie di premi
giornalistici, nazionali e internazionali, ti fa toccare con mano quella
soddisfazione che percepisci quotidianamente».
Segui qualche accorgimento dal punto di vista del look?
«Niente di particolare: quando sono in conduzione faccio solo quello che
farei normalmente per sentirmi a posto; magari curo un po’ di più il
trucco e i colori dei vestiti, ma quello che acquisto per lo studio non
è quasi mai destinato esclusivamente alla conduzione».
Hai mai accettato o accetteresti compromessi per uno scoop o per la
carriera?
«Se fossi disposta ad accettare compromessi, non sarei una giornalista;
non si può raccontare lo sporco se non si è puliti».
Un aggettivo per descriverti.
«Tenace».
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NONSOLOMODA Creativity
Day:
nella tappa di Trento si parlerà di tecnologie e metodo di
Francesca Succi
dal blog
TheGlossyMag del 17 giugno 2015
Come Blogger Ambassador di questo bellissimo evento definito in
tappe in giro per l’Italia, vi ricordo che mercoledì 1 luglio
Creativity Day sarà a Trento.
Infatti per la tappa di Trento è previsto un appuntamento molto
orientato alle tecnologie emergenti (wearable technologies,
stampa 3D, internet of things) e agli strumenti che ci aiutano
a lavorare meglio/lavorare meno, dal metodo Agile alle app più
utili.
L’approfondimento è dedicato all’User Experience Design ed è
rivolto a tutti coloro che vogliono riflettere sulla
progettazione/riprogettazione di un prodotto o un servizio che
“funzioni”.
Aprirà i workshop presenti nel programma la creatività. Si
cercherà di farvi capire perché la creatività è uno strumento
fondamentale per l’innovazione all’interno di una
organizzazione e come è possibile farla emergere come elemento
di valore per le nostre aziende ma, soprattutto, per noi.
In un altro approfondimento verrà mostrato il metodo Agile: un
nuovo modo di pensare i progetti; un nuovo modo di lavorare in
team: una rivoluzione, sempre più diffusa nelle aziende.
Si parlerà anche di Social Media e Turismo, riviste digitali,
cataloghi, libri, grafica per mobile e addirittura di Cinema
4D.
Insomma, un appuntamento da non perdere! Per informazioni più
approfondite potete cliccare
qui.
Inoltre vi segnalo il link del
programma generale e quello
della
pagina facebook ufficiale di Creativity Day per seguire
tutti gli aggiornamenti quotidiani.
Hashtag ufficiale:
#cday15.
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Valentina
Favazza, ascoltare i maestri del doppiaggio una grande
scuola per me
di Giuseppe Bosso
Incontriamo una delle più apprezzate ed emergenti
doppiatrici,
Valentina Favazza.
In questi giorni ti possiamo ‘ascoltare’ al cinema
nell’intenso La risposta è nelle stelle dove presti
la voce a Britt Robertson: come ti sei ‘preparata’ a questa
parte e che sensazioni ti ha suscitato?
«Ho avuto occasione di doppiare altre volte Britt Robertson,
nella serie tv Under The Dome e in quella ancora
precedente Life Unexpected, che ha dato inizio al mio
percorso con lei. So che il film è tratto da uno dei libri
di Nicholas Sparks, ma nonostante mi consideri una discreta
divoratrice di libri non ho avuto il piacere di leggerlo e
quindi di prepararmi in alcun modo. Come per molte
lavorazioni il feeling con i personaggi e con la storia è
nato in sala di doppiaggio, scena per scena, con l’attenta
supervisione della direttrice Fabrizia Castagnoli: ho amato
molto il film nella sua delicatezza; ho un debole per le
storie che si snodano tra passato e presente e che trovano
poi un punto di incontro».
Altro tuo recentissimo doppiaggio il personaggio di Iris
West (molto attinente con il nostro sito, visto che fa la
giornalista…) di The Flash, grande successo di Italia
1: cosa pensi abbia appassionato i telespettatori che hanno
seguito sempre più numerosi la serie?
«Come tutti i supereroi Flash racchiude il sogno di ognuno
di superare i propri limiti. Io credo che la gente si sia
appassionata al telefilm perché ama riconoscersi nel timido
Barry ancora più che in Flash stesso, poiché nonostante la
sua semplicità da “ragazzo della porta accanto”, comunque
apprezzabilissima, e nonostante conduca una vita normale,
Barry ha dentro di sé The Flash, la parte di lui che
gli permette di essere straordinario; è Barry il suo
custode. Barry rappresenta la speranza di tutti di poter
essere Flash, chiunque noi siamo, qualunque vita conduciamo:
Barry è il vero supereroe».
In quasi dieci anni di attività c’è stata una scena o una
parte che ti ha messo particolarmente in difficoltà e una
che ti ha molto soddisfatta?
«Le difficoltà si incontrano in qualsiasi progetto, perché
ogni lavoro merita la stessa attenzione e nessuno va preso
sottogamba, che si tratti di cartoni animati prescolari o
dell’ultimo film candidato all’Oscar, e forse è proprio
questo il bello di un lavoro artistico e artigianale: tutto
merita lo stesso livello di meticolosità. Una delle
lavorazioni che ricordo con piacere è La Teoria del Tutto,
in cui ho doppiato Felicity Jones con la direzione di
Rodolfo Bianchi».
Ti capita mai, ‘riascoltandoti’ di cogliere qualche
sfumatura che ti era sfuggita in sala?
«Quando mi riascolto è più facile che io sottolinei tra me e
me i punti in cui avrei potuto fare meglio a mio parere
piuttosto che notare i miei pregi, ma sto imparando ad
essere meno severa con me stessa, senza per questo smettere
di cercare il mio meglio e continuare a crescere».
Lavorando quotidianamente con dei veterani del doppiaggio
cosa cerchi di ‘carpire’ da loro?
«Credo che sia molto importante in questo mestiere avere
orecchio e “rubare” ai grandi i trucchi del mestiere,
facendoli propri; ognuno poi li personalizza, ma di sicuro è
stata, e rimane per me, una grandissima scuola poter
ascoltare i maestri di questo lavoro. Non smetterò mai di
farlo».
Ti capita mai di essere riconosciuta dalle persone con
cui parli?
«Non mi capita mai di essere riconosciuta; quando parlo con
le persone e si entra in argomento mi ricollegano a qualche
film solo facendo molta attenzione al suono della mia voce,
a qualche sfumatura. Ho una voce abbastanza camaleontica e
penso non sia un pregio né un difetto».
Pochi giorni fa ci ha lasciati un tuo collega,
Vittorio De Angelis, con il quale avevi spesso lavorato:
qual è il tuo ricordo di lui?
«Ho lavorato molto con Vittorio: la sua scomparsa ha turbato
molto profondamente tutti noi, specie per il senso di
assurdo che morti come la sua lasciano addosso. Vittorio De
Angelis era un professionista dolce e disponibile, sempre
paziente e attento: era un uomo veramente buono».
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PINK NEWS L'altra
metà della mela... in rosa!
di Daniela D’Angelo
Nella nostra società è spesso difficile essere donne,
ma lo è ancor di più quando si è una donna che ama
un'altra donna; non perché sia una relazione diversa
dalle altre, ma perché spesso mostrare questo sentimento
alla luce del sole può essere oggetto di sguardi, di
parole, di offese e nei casi peggiori di
violenza.
«Credo che l'amore non dovrebbe aver bisogno di appendici a
specificarne la natura, dovrebbe per definizione essere un
sentimento universale, scevro da distinzioni; a pensarla
così è Stefania Minniti, una ragazza solare che ha
deciso di gestire con la sua amica Eva una pagina sul
social Facebook dedicata alla recensione di film e serie
tv a tematica omosessuale femminile».
«Les Movies nasce principalmente con l'idea di creare una
sorta di community, un punto di incontro, di confronto e di
scambio tra persone che condividono la nostra stessa passione e
cioè i film e le serie tv a tematica omosessuale femminile
– spiegano le admin Stefania e Eva - se dovessimo
consigliare un film, consiglieremmo spassionatamente “But I'm a
Cheerleader”, perché è una commedia assolutamente geniale e ben
costruita, che si fa portavoce di un messaggio molto forte
contro l'omofobia ma lo fa con ironia, garbo e sapienza
registica. Peccato solo che in Italia non sia mai arrivato e
quindi sia reperibile solo in lingua originale con sottotitoli».
In Italia infatti sono poche le pellicole
approdate che approfondiscono il tema dell'omosessualità
femminile; basti pensare che su circa 500 film solo
un centinaio hanno trovato un posto nel box office
italiano. Per le restanti invece bisogna affidarsi ai siti
internet di streaming, talvolta senza il doppiaggio
italiano, in alcuni casi anche senza i sottotitoli
italiani!
Perché questa disparità? Forse il mondo cinematografico
è ancora legato a un forte maschilismo che vede questo
genere sotto i riflettori dell'erotismo?
Le serie televisive di contro, si approcciano in maniera
differente: la tematica omosessuale femminile infatti è
maggiormente al centro delle storie, soprattutto a partire
dal 2004 con la messa in onda del telefilm The L
Word. Questo perché si rivolgono a un pubblico più
giovane, più aperto e soprattutto un pubblico che
vive la realtà con spirito innovativo.
«L’amore è amore, qualsiasi sia la sua natura – continua
Eva - lo vivo tutti i giorni dall’età di 18 anni e per me è
ed è sempre stata la normalità grazie anche alla mia famiglia,
che dopo il primo periodo di confusione ha sempre supportato
ogni mia scelta».
Ed è grazie a gruppi social come Les Movies che possiamo
abbattere le mura dell'omofobia: gruppi che ci mostrano
l'altra metà della mela a cui per anni è stata negata
la parola, una metà tinta di rosa! |
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DONNE
Ada
Colau nella Spagna delle donne sindaco
di Deborah Palmerini
Ai colori tradizionali di Spagna si aggiunge il rosa;
alle elezioni amministrative nel mese di maggio infatti,
le maggiori città spagnole, i centri economici
nevralgici della nazione, fra cui la capitale Madrid,
e Barcellona, hanno scelto le donne per la carica
di sindaco.
La piattaforma politica è quella multicolore nota
come movimento degli Indignados, ma costituita da
una moltitudine di movimenti popolari, nati dal fondo
dei problemi sociali, sotto l'insegna di iniziative a
tutela dei più disagiati. Non a caso sia la sindaco di
Madrid, la settantunenne ex magistrato Manuela Carmena,
sia la sindaco di Barcellona Ada Colau si sono fatte
conoscere per le battaglie contro gli sfratti a danno dei
cittadini che, a causa della pesante crisi economica,
non riuscivano a pagare il mutuo della casa.
Ada Colau, la quarantunenne sindaco di Barcellona, ha
annunciato politiche di revisione della spesa della politica,
di rivalutazione della qualità di vita nella sua città,
a partire dalla riforma delle mastodontiche speculazioni
cementizie del tessuto urbano previste dalle precedenti
legislature, dal freno alla massificazione del turismo;
ha promesso tolleranza zero contro la corruzione e lo
stop alla privatizzazione dei servizi urbani.
Politiche che alcuni definirebbero di sinistra ma che
hanno fondamenta di semplice buon senso; soprattutto
hanno quale ingrediente principale il rispetto delle classi
sociali più deboli e sofferenti, che risultano essere le
più colpite dalla crisi economica e dalle misure di
austerità.
Ada Colau a Barcellona ha interrotto una lunga serie di
sindaci uomini, centodiciannove consecutivi, che
hanno imperversato
nel corso dei decenni; stesso risultato, al femminile e
originato da piattaforme politiche assimilabili, oltre che
nella capitale Madrid,
è stato registrato anche in altre importanti città spagnole:
Valencia, Saragozza, Palma de Maiorca e
Cadice.
Segnali non trascurabili in una Europa dove si
fatica ancora molto a trovare donne ai posti di potere,
con poche eccezioni soprattutto nei Paesi nordici.
Come sempre starà ora ad Ada Colau e alle sue colleghe sindaco,
dopo il coraggio, dare dimostrazione di competenza,
impiegando il doppio dell'impegno e il triplo della
passione rispetto ai predecessori uomini.
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