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Telegiornaliste anno XI N. 11 (442) del 23 marzo 2015
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TGISTE Laura
Tommasini: la mia vita tra sport e bambini
di Giuseppe Bosso
Bolognese, dopo gli inizi come addetto stampa e al Resto del Carlino
- testata con cui ancora oggi collabora dopo oltre vent'anni -
Laura Tommasini è la conduttrice del programma sportivo Top
Volley; sull'emittente modenese Antenna 1 conduce il tg sportivo ed
il programma Solo calcio che segue le squadre della provincia
che giocano in serie B (Modena e Carpi) ed è la direttrice di
Sport
Press, Top Volley e Free Press, rilevato alla
scomparsa del padre dieci anni fa.
Laura e il volley insieme per caso o per passione?
«Per amicizia direi. Mi sono avvicinata alla pallavolo tramite amici che
giocavano in serie A quando avevo 16 anni; ma lo sport è sempre stata
una mia passione, a livello agonistico l’ho praticato per tanti anni
giocando a tennis e facendo atletica».
Una delle emozioni del 2014 è stato sicuramente il Mondiale che le
nostre ragazze solo per sfortuna hanno mancato nel finale: cosa ricordi
di quei giorni e cosa credi che possa esserci nel futuro?
«Davvero un’esperienza coinvolgente che ha appassionato tutti gli
italiani; gran parte del merito va sicuramente al coach Marco Bonitta,
tecnico preparato soprattutto per lavorare con le giovani e per
cementare un gruppo solido, che ha saputo affrontare con tenacia le
avversità che si sono manifestate fin dai primi raduni estivi con seri
infortuni che hanno costretto il coach a rivedere la rosa convocata. Ora
è iniziata una fase di ricambio che inevitabilmente ha non poche
difficoltà, il prossimo traguardo è quello di arrivare alle Olimpiadi di
Rio del prossimo anno, la corsa alla qualificazione non sarà agevole, ma
con l’impegno e la passione le soddisfazioni per questo gruppo possono
arrivare».
Occupandoti del
Carpi Calcio inevitabilmente mi viene da chiederti cos’hai pensato
del caso Lotito...
«Bruttissima pagina davvero per lo sport; senza entrare nel merito delle
intercettazioni io mi sento solo di dire che lavorando a stretto
contatto con la società del Carpi posso confermare come la dirigenza
lavori con molta attenzione soprattutto nella valorizzazione dei giovani
sia della prima squadra che del settore giovanile; è una società davvero
seria, ben radicata nel territorio. Merita i successi che sta avendo ed
è un processo di crescita che parte lontano: in cinque anni hanno
costruito questa realtà partendo dai dilettanti».
Ti sta stretta la dimensione televisiva locale?
«Assolutamente no, ho trovato un ambiente straordinario, soprattutto dal
punto di vista dei rapporti tra colleghi e molto stimolante. Non capita
spesso che affidino una redazione sportiva ad una donna e cerco ogni
giorno di meritare la fiducia del Direttore Giovanni Mazzoni. Non mi
sono pentita di niente, ho dovuto come sapete lasciare Sky per motivi
familiari dopo cinque anni straordinari (allora in realtà si chiamava
ancora Stream) ormai una decina di anni fa, ma le scelte che ho fatto mi
hanno sempre ripagata sul profilo professionale e personale».
Quali difficoltà hai maggiormente incontrato nel "metterti in
proprio" fondando Sport Press?
«Partiamo dall’inizio: ho fondato insieme ad altri colleghi una testata
stampata, Sport Mania, quando - era il 1994 - la rete e Internet
ancora non esistevano. Nel 1997 ho trasferito quella esperienza del
settimanale cartaceo al web senza cercare profitti economici, ma dando
una vetrina gratuita a tutte le società ed atleti di Bologna. Contiamo
su 500.000 visitatori mensili, una soddisfazione enorme anche perché chi
ha tentato di copiare l’idea sul territorio è poi rapidamente sparito
mentre noi siamo ancora qui alla soglia dei 20 anni di pubblicazione
online».
Come ti sei avvicinata alla neonatologia?
«Ho studiato psicologia, anche se poi non è diventato quello il mio
mestiere, ma ho sempre avuto la passione per i bambini. Ho iniziato a
fare volontariato in cardiochirurgia pediatrica e negli ultimi anni ho
solo cambiato reparto dedicandomi alla neonatologia. Stare a contatto
con questi piccoli che lottano minuto dopo minuto per la vita è una cosa
meravigliosa, emozionante oltre ogni immaginario e ti dà la reale
dimensione delle cose della vita. Vederli sorridere anche in mezzo al
dolore ripaga di ogni sacrificio fatto per strappare qualche ora al
lavoro ed alla vita personale per stare con loro».
Cosa farai da grande?
«Lo sono già - ride, ndr - spero di poter continuare a fare questo
mestiere con lo stesso impegno che mi ha accompagnato finora».
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NONSOLOMODA Fashionable man:
quando l’ingaggio dei calciatori viene dalla moda di
Francesca Succi
dal blog
TheGlossyMag del 6 marzo 2015
Ho iniziato questa settimana pubblicando
un articolo sulla
rubrica di moda che gestisco su la Nuova Ferrara scrivendo
dello stile di un calciatore locale e chiudo con una news sul
mio blog che riguarda un (ex) calciatore, David Beckham.
Le due notizie si collegano perché prima di tutto entrambe
parlano di moda, in secondo luogo riguardano due calciatori e
terzo hanno avuto successo. Mi spiego: la redazione in
settimana mi ha comunicato che l’ultimo articolo che ho scritto
– con ricchissima gallery annessa – ha avuto un picco di
visualizzazioni mai visto. Il mondo del calcio locale si è un
attimo scosso, insomma ho punzecchiato un settore che nessuno
aveva ancora toccato; almeno in città. A quanto pare la Succi è
sempre sul pezzo!
Invece, a livello internazionale, i picchi di visualizzazioni
sono stati raggiunti grazie al geniale sodalizio siglato da
H&M
con David Beckham. Infatti il colosso svedese per presentare la
collezione maschile primavera/estate 2015 ha pensato bene di
scegliere un testimonial d’eccezione bello, di quella bellezza
matura ma non eccessiva, che a casa è già abituato a mangiare
pane & moda.
Non a caso la consorte, Victoria Adams in Beckham, nonché ex
posh Spice, ha debuttato nel mondo della moda con un suo
marchio nel lontano 2005. È partita con i jeans per passare ai
profumi fino ai manuali su come essere alla moda. Ora è
attivissima con il brand che porta il suo nome e ha chiuso il
bilancio dello scorso anno con un fatturato raddoppiato!
Hennes & Mauritz ancora una volta c’hanno visto giusto, anche
troppo. Il punto poi è che Beckham in tutto ciò non è un
semplice testimonial, ma parte attiva della collezione: infatti
una volta finita la linea ha scelto personalmente i pezzi
preferiti da lanciare creando così la Modern Essentials selected
by David Beckham.
Degna di nota è la campagna pubblicitaria a sostegno della
collezione, tutta molto digital ma di forte impatto. Il punto
focale è un semplice, apparentemente, video della durata di un
minuto scarso. Il protagonista è sempre lui, il bello di
Londra, e la scena è ambientata in una sala da biliardo: con un
filtro cupo entra con un outfit comodo, quello che ogni uomo
adora per la semplicità, composto da cargo, maglia e felpa. In
due mosse, e qualche inquadratura ben assestata per la felicità
di noi donne, mette in buca sul tavolo da gioco e se ne va.
Altro che 50 sfumature di grigio, qui c’è da slogarsi la
mascella!
La moda maschile contrapposta ad una partita da biliardo, gli
uomini approvano e le donne pure. In questo caso non è stata
scelta una partita di calcio, troppo facile, ma un gioco più
affascinante: il biliardo. Un gioco che si presta anche al
mondo femminile, tra partite all’ultimo sangue o godimento
dello spettacolo a bordo tavolo.
C’è un punto però da chiarire, perché questo non è il primo
caso di calcio che si presta alla moda e viceversa, come mai i
calciatori sono così corteggiati e assoldati per le campagne
pubblicitarie fashion? Sarà il fisico scultoreo ad influire
oppure l’ampio pubblico – con annessi consensi – che
raccolgono? Oppure sarà che dietro ad un grande uomo
spiritualmente fashion c’è una grande donna che naviga già in
questo mondo e sorregge l’immagine del compagno?
Se un tempo i calciatori, qualche ventennio fa, erano
protagonisti solo dell’album delle figurine Panini ora non più:
oltre che dalla squadra l’ingaggio viene dalla moda.
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Centovetrine,
chiuse le saracinesche
di Sara Ferramola
È stata annunciata la definitiva chiusura della soap
opera Centovetrine, serie italiana
ammiraglia delle reti Mediaset, ambientata in un
centro commerciale di Torino.
Dopo quindici anni di storia ne è stata decisa la
fine, causata, si dice, da un netto calo degli ascolti.
Se questo è vero, è vero anche che già poteva sentirsi
nell'aria l'arrivo di questa brutta notizia per i più
affezionati; la soap opera negli ultimi tempi è stata
spostata dalla rete ammiraglia Mediaset a Rete 4; ha
subìto dei continui cambiamenti all'interno del
palinsesto di Mediaset, di orari e giorni di messa in onda;
dal pomeriggio al primetime e al preserale
dove non ha retto la concorrenza di Un posto al
sole di Rai 3.
Se gli ascolti potevano essere di loro già diminuiti, l'insieme
di questi movimenti da parte della produzione non hanno
fatto altro che spingere ancor di più in questa
direzione.
La sedicesima stagione non ci sarà e per le
puntate mancanti di quella in corso, circa una
sessantina, non è decisa ancora la messa in onda,
forse in estate.
A rimetterci da questa decisione di Mediaset non sono
tanto gli attori, quanto tutte quelle figure
dietro le quinte: dai sarti ai parrucchieri,
ai costumisti, agli impiegati e molti altri.
Seconda a Vivere per longevità, anche
Centovetrine ha fatto la stessa fine; sulle reti
Mediaset sembra che solo Beautiful contenga
ascolti, un dato questo da non trascurare rispetto alla
serialità italiana.
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PINK NEWS Marina
Manconi e una toga indossata con fierezza
di Daniela D’Angelo
«Bisogna lottare il più possibile, alzare la testa e dare un
insegnamento, un segnale per chi è ancora immobile, vuoi per
paura, vuoi perché non ne ha voglia; ma non bisogna arrendersi,
è in ballo il futuro dei giovani, il futuro dei nostri figli».
Parole incisive ma cristalline, che esprimono
tutta la passione che Marina Manconi riversa
nella sua professione.
Avvocato penalista da 11 anni e mamma al tempo stesso,
la tenace salernitana è la testimonial della campagna
#Iononmicancello, promossa da M.G.A. (Mobilitazione
Generale Avvocati), cominciata con un selfie e divulgatasi
in men che non si dica, tanto da ottenere un successo
imprevedibile.
#Iononmicancello nasce come una spinta reazionaria
dei giovani avvocati verso la Legge 247 del 2012 del
governo Monti che prevede non solo l'iscrizione obbligatoria
per tutti gli avvocati (e non più come in precedenza per
coloro i quali avevano un reddito annuo di 10.300 euro) alla
Cassa Forense, ma anche il versamento di un contributo
fisso minimo di circa 3.800 euro annui,
indipendentemente dal reddito conseguito, pena l'immediata
cancellazione dall'albo; un aut aut istituzionale:
o paghi o ti cancello!
«Una legge che lede la dignità professionale, ma ancor prima
la dignità di essere umano - spiega l'avv. Manconi - mi
sono avvicinata all'avvocatura con la fierezza di indossare la
toga, una toga che riflette un servizio popolare: difendere il
cittadino! Ma oggi anche questo sta diventando arduo a causa
delle nuove norme in materia di difensore d'ufficio e lo Stato
non può negare quel valore indiscusso che la toga riveste,
quell'orgoglio, quell'umiltà che oggi sembrano essere messi in
secondo piano. Limitare i giovani avvocati, i futuri avvocati,
rappresenta implicitamente porre un freno alla giustizia!».
Sono questi suoi ideali ad averla animata durante lo
svolgimento della manifestazione del 27 febbraio
promossa da M.G.A. e avvenuta a Roma davanti la Cassa Forense,
e che ha dato una svolta mediatica alle istanze di
equità previdenziale e fiscale; «l’obiettivo è un
sistema fiscale e previdenziale compatibile con la vita. I
professionisti devono poter lavorare per produrre reddito e non
produrre reddito per poter lavorare!» queste le
dichiarazioni del presidente di M.G.A., Cosimo D. Matteucci.
La manifestazione inoltre è stata una svolta sotto un
ulteriore profilo: quello della solidarietà intercategoriale.
Infatti non è solo la classe forense a sposare lo slogan
#Iononmicancello: molti sono i liberi professionisti,
tra cui architetti, medici, farmacisti,
che hanno aderito alla manifestazione esprimendo in maniera
decisa il proprio dissenso; per non parlare delle
innumerevoli donne libere professioniste (in Italia
le donne che esercitano l'avvocatura rappresentano oggi circa
il 43% del totale degli iscritti all'Albo) scese in campo
a tutela del proprio lavoro, dei propri sacrifici
ma soprattutto del futuro dei giovani.
«Oggi per una donna è dura esercitare la libera professione
- continua l'avv. Manconi - molte volte si è poste di fronte
a una scelta: i figli o la carriera? Io ho deciso di essere
mamma, ho tre bambini e a volte è difficile far conciliare il
lavoro con la vita privata. Ho lottato sin da ragazza per
raggiungere questo sogno e non mi pento assolutamente delle
scelte da me fatte. Non mi arrenderò e come me tante altre
donne, colleghe, madri. Dobbiamo essere unite!».
Professioniste, guerriere combattive ma
soprattutto donne che non devono sacrificare la propria
maternità, ma anzi devono indossarla, mostrarla
come un vestito leggero come una nuvola e ricamato
di speranze. |
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Concetta
Sarachella, una stylist contro i pregiudizi di
Deborah Palmerini
Concetta Sarachella è una ragazza trentenne di
Isernia: ha scelto di diventare stilista di moda e
le sue creazioni, molto apprezzate, dicono che quella è
proprio la sua strada.
È stata fra i designer finalisti del Premio Regina
d’Italia, concorso con il fine di promuovere
stilisti emergenti, nell’ambito della Fashion Week
milanese; alcuni suoi abiti sono conservati in alcuni
musei perché ritenuti rappresentativi della fusione di
culture e tradizioni italiane: gli abiti disegnati da
Sarachella sono infatti il risultato dell’integrazione della
sua etnia Rom con quella italiana.
Le sue origini sono l’elemento caratterizzante
dell’attività professionale ma anche la maggiore difficoltà:
Concetta ricorda infatti quando il suo curriculum veniva
scartato apriori a causa delle sue origini o quando per il
suo abbigliamento “riconoscibile” veniva discriminata sul
lavoro o in ambito sociale; nonostante questo è riuscita
nel difficile intento di trasformare in un elemento di forza
questa sua difficoltà o, per meglio dire, le difficoltà
indotte dal pregiudizio diffuso.
Non si è arresa continuando a coltivare la passione per
la moda; ha messo su un piccolo laboratorio di creazioni
sartoriali nella sua città. E la sua strada si è aperta:
il talento e la tenacia l’hanno condotta fin sulle passerelle
milanesi e il suo cognome, da macigno si sta
trasformando in perla.
Dei suoi abiti racconta «parlano della mia cultura, tra
colori accesi, pizzi, balze e ricci». Ed è talmente vero
che alcuni di essi sono stati esposti in quanto
rappresentativi della cultura italiana: nel 2012 al
Vittoriano in Roma, durante i festeggiamenti per il 150°
anniversario dell’Unità d’Italia; al museo del Viaggio
intitolato a Fabrizio De André, l’unico Museo Rom,
dove tutt’ora si può ammirare.
Ma il pregiudizio non si ferma, soprattutto perché
continuamente nutrito dalla mancanza di conoscenza e
fomentato da concezioni superficiale o parziali: dei Rom si
parla sempre e soltanto in accezioni negative; mai
che si raccontino davvero. È proprio questo l’altro alto
obiettivo di Concetta Sarachella: lottare contro il
pregiudizio, specialmente quello che colpisce le donne Rom,
discriminate due volte: in quanto donne prima di tutto e
in quanto Rom.
Le tradizioni e la cultura Rom infatti rendono molto difficile
per le donne rendersi indipendenti dalla famiglia d’origine
e dal proprio cerchio sociale; tuttavia, con il suo
successo professionale, Concetta dimostra ogni giorno che
l’autonomia e l’affermazione non sono impossibile; sono
necessari grande impegno e determinazione.
La sua battaglia Concetta la combatte oltre che con l’esempio e
il lavoro, attraverso l’azione di due associazioni, una
delle quali, la Rowni (ROma Women Network
Italy) è una rete nazionale delle donne Rom e Sinti,
con cui si vogliono scardinare i pregiudizi e le difficoltà
delle donne Rom nel mondo del lavoro e della formazione.
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