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Telegiornaliste anno XI N. 4 (435) del 2 febbraio 2015
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TGISTE Monica
Fabbri: anche a San Marino non si stacca mai di
Giuseppe Bosso
Volto del tg dell'emittente sanmarinese
Rtv
San Marino, incontriamo
Monica Fabbri.
Come sei arrivata al tg di Rtv San Marino?
«Per caso; prima di interessarmi al giornalismo lavoravo nella moda,
curavo campagne pubblicitarie. Ma la scrittura, assieme all’arte, è fra
le mie più grandi passioni; quello per l’arte è un amore che mi è stato
trasmesso da mia madre, che dipingeva a Parigi prima di trasferirsi in
Italia. Sono cresciuta ammirando i suoi quadri; poi è arrivata la
scrittura: poesie, favole, fin da bambina… mentre studiavo arte sono
stata catturata dalla fotografia; ho lavorato come art director e copy
per fotografi di moda e agenzie; anche quello era un modo di raccontare,
usando immagini. Ma non mi bastava: a 25 anni l'occasione: interviste
sportive per un'emittente locale; è andata avanti per qualche mese. Poi,
una fortunata coincidenza: la tv di Stato di San Marino, consociata Rai,
cercava collaborazioni per la redazione sportiva. Mi sono proposta e
sono stata messa alla prova. Un'avventura che prosegue, anche se non più
nello sport».
Com’è la giornata tipo di una giornalista nello Stato enclave?
«Chi è giornalista lo sa, non si stacca mai. La ricerca delle notizie è
continua, dentro e fuori la redazione; mi affasciano le piccole storie
di coraggio che fanno grandi le persone comuni. Sono sempre a caccia di
racconti di vita che possano insegnare qualcosa agli altri. Non è sempre
facile, soprattutto in una piccola realtà come la nostra, dove tutti si
conoscono ed è forte il riserbo. Tornando alla giornata tipo: si
comincia con la riunione di redazione, dove si fanno proposte e vengono
assegnati i servizi. Si è sempre di corsa, tra telefonate, interviste e
sala di montaggio. L’impegno aumenta se quel giorno è prevista anche la
conduzione del tg. La giornata vola, ‘ed è subito sera’».
È un contesto che ti sta stretto oppure ti gratifica l’essere in
qualche modo un punto di riferimento per il tuo contesto?
«Mi gratifica, senza dubbio. Adoro San Marino. Sono vissuta a Parigi e
per qualche anno anche a Bologna, viaggiando spesso tra Milano e Roma
per lavoro. Mi piacciono le grandi città, uno stimolo culturale: ma qui
sul piccolo monte mi sento protetta, a casa. La tv di Stato è la voce
con la quale San Marino parla al mondo. Grazie al satellite riallacciamo
il filo con i sammarinesi all’estero; ma non ci fermiamo solo alla
realtà locale: abbiamo seguito, direttamente sul posto, la visita di
Schifani ai militari in Afghanistan, la condizione delle donne in
Pakistan… se abbiamo una buona idea il direttore non ci frena, anzi, ci
incoraggia a seguirla; è anche vero che all’inizio della mia
collaborazione con Rtv sono stata tentata di fare esperienza in altre
realtà. L’idea mi stimolava; ci vuole coraggio, però, a rimettersi in
gioco lontani da famiglia e sicurezze. La qualità della vita qui è alta,
con il mare a pochi passi e l’allegria romagnola nel sorriso della
gente. Alla fine ho deciso che stavo bene dove stavo e che, in fondo,
non volevo cambiare».
Per due anni hai avuto come direttore un volto storico della Rai come
Carmen Lasorella: come è stato per te relazionarti con una collega
del suo calibro?
«Che emozione quando le ho stretto per la prima volta la mano! Una presa
forte, decisa, un sorriso bellissimo. L’ho sempre stimata, come
professionista e come donna: una grinta e un’energia fuori dal comune,
un modo straordinario di raccontare. Ho imparato molto da lei; del resto
la porta del suo ufficio era sempre aperta, e Carmen era sempre pronta
ad offrire consiglio, a condividere la sua grande esperienza. Guai,
però, a non fare bene il proprio lavoro: odiava la sciatteria,
l’approssimazione. Esigeva che i suoi giornalisti fossero preparati, e
che comunicassero con naturalezza, approfondendo la notizia. La
chiarezza, prima di tutto. Non dimenticherò la sua umanità. In un
momento difficile mi fu vicina».
Digitando il tuo nome appare anche un video in cui a causa di un
errore di lancio di un servizio ti sei piuttosto indispettita: è una
cosa che ti ha imbarazzato?
«Quel video mi ha perseguitato per un bel po’. In realtà non c’era stato
nessun errore: non mi piaceva il titolo dopo la sigla di testa, avrei
voluto cambiarlo. Nonostante le mie proteste alla fine si decise di
lasciarlo. Avevo intuito, in diretta, che anche altri colleghi erano
d’accordo con me. Ho quindi chiamato la regia per spiegare: c’era un
servizio, la mia voce non sarebbe dovuta entrare in onda. Errore o pesce
d’aprile? Quando mi vidi su internet mi vergognai. Avevo detto una
parolaccia in diretta! Oggi ci rido su… ripensandoci, poteva andarmi
peggio».
Cosa ti aspetti dal domani?
«Quando penso al domani vorrei vedermi scrittrice a tempo pieno: ho
inediti nel cassetto, devo trovare il tempo per rivederli e correggerli.
Sono una perfezionista, e un romanzo richiede un’attenzione particolare.
Scrivere è un po’ come dipingere, serve l’ispirazione per creare… ma
bisogna anche sapere quando fermarsi. Il mio limite è proprio quello:
non smetto mai di rimettere mano alle cose che faccio. Sono
insoddisfatta, tutto mi appare incompiuto, migliorabile. Non riesco a
dire “ecco, è finito”. Servirebbe Freud!».
Che idea ti sei fatta del nostro sito?
«È stata una sorpresa scoprire
le mie foto sul vostro sito. Non ci sono solo i volti più noti, ma
anche giornaliste delle redazioni più piccole e sconosciute. Ognuna di
noi ha le sue peculiarità, i suoi punti di forza, ma una cosa ci
accomuna tutte: l’amore per il nostro lavoro; è bello ritrovarsi tutte
sotto lo stesso tetto. Grazie!».
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i miei perché sull’uomo in passerella:
cerco l’uomo nella moda ma non lo trovo di
Francesca Succi
dal blog
TheGlossyMag del 20 gennaio
2015
Scrivere questo post reduce da una visione come
“L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera è un
pugno nello stomaco. Perché ieri notte, con la mia solita anima
da osservatrice attenta, ho voluto sbirciare nel buco della
serratura dell’ultima fashion week maschile. Vi descrivo la
scena: l’ho fatto con un occhio aperto e un altro chiuso con la
mano per un senso di coerenza verso me stessa, come si fa al
cinema con i film horror. Così per stare bene con quanto mi ero
proposta di fare ad inizio gennaio: non soffermarmi sulla moda
maschile. Ma poi sono stata solleticata dalle tante news
condivise il giorno prima e mi sono fiondata su una sfilata a
caso: Gucci. Perché ho sempre amato questo brand.
Le premesse erano queste: Frida Giannini è già diventato ex
direttore creativo e al suo posto, a rappresentare la maison,
c’era il braccio destro Alessandro Michele con tutto il team di
13 stilisti.
L’impressione iniziale è quella di essere catapultati tra l’800
e gli anni ’70 (tra un hippy e un Giacomo Leopardi) e mano mano
che i modelli – con tratti molto femminili – avanzavano sono
stata avvolta da mille perplessità. Dopo questa, devo dire la
verità, che ho chiuso. Non ho guardato altro perché ero
profondamente assonnata.
Forse mi è bastato per trarre qualche conclusione. Forse sono
rimasta troppo traumatizzata anche dai mocassini simil ciabatta
con pelliccia, qualcosa di già visto in versione femminile
qualche stagione fa tra le blogger, che non rientra nei miei
gusti personali. E in quelli di un uomo? Lo saprò solo se me lo
direte voi.
Poi ad onor del vero quelle poche proposte donna mi sono anche
piaciute, ma erano talmente simili a quelle uomo che ho fatto
fatica a distinguerle.
Perché non ho seguito questa edizione di moda uomo
Ho seguito diverse fashion week maschili in maniera
approfondita scrivendo reportage su blog e testate
giornalistiche, ma in realtà da donna devo dire che è
abbastanza difficile entrare nell’armadio del sesso opposto;
sebbene sia di mio profondo gradimento (ma questo discorso è
oggetto del punto tre).
Così per ottimizzare il tempo – che è veramente poco perché mi
sono buttata a capofitto su Glossy Style – ho fatto delle
scelte: quest’anno no alla moda maschile. No per come la
intendo io: da ricercatrice e documentatrice. In realtà sono
sempre aggiornata perché è nella mia natura e devo farlo! Poi
all’atto pratico se un uomo mi chiede consiglio devo essere in
grado di snocciolare le ultime tendenze come l’Ave Maria e il
Padre Nostro.
Perché per me non rispecchia più l’uomo medio (anche
quello più attaccato alla ricerca del proprio stile)
Se dovessi basarmi solo sulle proposte da sfilata potrei dire
che l’uomo – quello che intendo io e penso la grande
maggioranza delle donne bello, sano, curato ma sempre uomo – si
è estinto. Poi però guardo le proposte nei negozi, nelle fiere
di settore, nelle città e tiro un sospiro di sollievo.
Io non sono uomo, quindi faccio poco testo, ma continuo a
chiedermi come si fa concepire un taglio di capi molto vicino
all’universo femminile. Credevo fosse lo sbaglio di una
stagione, la voglia di evasione e di democratizzare l’offerta,
invece è una abitudine che si replica da anni. La moda non è
più per uomini, quelli veri tanto desiderati dalle donne:
aggiornatevi e condividerete con me.
Vi faccio una domanda: ma secondo voi se il tanto amato,
desiderato e sognato Mister Grey delle 50 sfumature di Grigio
interpretato da Jamie Dornan (pongo questo esempio perché si
avvicina l’uscita del film nelle sale cinematografiche) si
vestisse come una Charlie’s Angels vi farebbe ancora sangue
(cioè sesso)? Oppure, vi fa così tanto sangue (sì, ancora
sesso), perché il suo abito stirato alla perfezione in quei
toni di grigio – ma anche di nero e di blu – da Uomo è simbolo
di virilità? Chiedo, attendo risposta se volete partecipare ai
miei dubbi.
Perché ora la moda maschile piace più alle donne che
agli uomini
Perché è una moda concepita per un uomo fragile. Una moda che
rappresenta un uomo androgino (altro che uomo de panza uomo di
sostanza). Un uomo troppo curato e forse fuori dai canoni
estetici comuni. Perché è una moda troppo simile a quella della
donna (di una volta). E qui scatta il misunderstanding, lo
scambio dei ruoli e dei giochi. Che sia lo scotto da pagare per
aver voluto la parità dei sessi?
Mentre la donna, per la moda, ha assunto un’immagine aggressiva
e poco aggraziata, ora quella dell’uomo lo è. Ovviamente non
faccio di tutta un’erba un fascio, ma molti la concepiscono
così.
Allora arriviamo al dunque: a voi uomini piace? Vi sentite
rappresentati in questo modo? E voi donne siete contente di
quest’uomo che sembra profumare di note cipriate invece di note
legnose?
O forse, forse, ci siamo mascolinizzate troppo noi donne?
Tra tutti i miei perché in apertura lo stile dell’Uomo che amo
io. Cioè quello che fa sangue a me.
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Alice
Bellagamba:
sto vivendo un momento di grande felicità di
Giuseppe Bosso
Abbiamo il piacere di incontrare una delle più promettenti
ed amate attrici della nuova generazione; concorrente di
Amici, il fortunato talent show di Maria De Filippi, nel
2008, dopo gli inizi da ballerina ha intrapreso una proficua
carriera da interprete di film e fiction di successo. Alle
soddisfazioni professionali recentemente si sono aggiunte
anche quelle private per
Alice Bellagamba, recentemente convolata a nozze con
Andrea Rizzoli, figlio dell'attrice Eleonora Giorgi.
Dove ti vedremo nel 2015?
«C’è un progetto work in progress del quale però non
posso dire ancora niente…».
Com’è cambiata la tua vita con il matrimonio?
«A dire il vero poco, era da un po’che io e mio marito
convivevamo; la mia fortuna è quella di aver trovato una
persona su cui poter contare, quando sono al lavoro si
prende cura della casa e viceversa. Possiamo reciprocamente
contare l’uno sull’altra, ed è la cosa più importante».
Inizi come ballerina e poi diventi attrice e conduttrice:
come hai affrontato questo passaggio?
«Il mio percorso è stato graduale; come dicevi sì, inizio
come ballerina fin da ragazzina; a 13 anni mi trasferii a
Firenze, dove fui notata da Daniel Tinazzi e Rosanna
Brocanello che mi offrirono una borsa di studio con la
scuola del Balletto di Toscana e Opus Ballett, che ho
frequentato pe quattro anni; a uno stage di questa scuola ho
conosciuto Mauro Bigonzetti, che mi prese in compagnia
all'Aterballetto, con cui ho iniziato una tournee in giro
per il mondo. Nel 2008 arrivai ad Amici, la mia
prima volta davanti al pubblico televisivo, e di lì a poco
conobbi la regista Cinzia Bomoli, che mi diede la
possibilità di esordire come attrice nel film Balla con
noi, insieme ad Andrea Montovoli, nel ruolo di una
ragazza, Erika, alle prese con le crisi dell’adolescenza e
in conflitto con se stessa, che proprio tramite il ballo
riesce a superare queste avversità; dì lì sono arrivate
altre parti, nella fiction Provaci ancora prof 4, la
serie Non smettere di sognare, e poi ho iniziato la
mia collaborazione con la Lux Vide, a cui devo molto, che mi
ha voluta per due puntate di Don Matteo e nella
seconda serie di Un passo dal cielo, dove ho lavorato
sempre con Terence Hill, e ultimamente nella terza serie di
Che Dio ci aiuti con Elena Sofia Ricci; altre
soddisfazioni le ho avute recitando con attori del calibro
di Giorgio Panariello, Leonardo Pieraccioni ed Enzo
Iacchetti nel film Un fantastico viavai, diretta da
Leonardo, e soprattutto la sitcom, sempre prodotta dalla Lux
Vide, Talent High School, dove contemporaneamente ho
interpretato due ruoli; la cosa più bella per me è stata
quella di essere riconosciuta dal pubblico dei bambini, a
cui la sitcom era destinata, che mi fermavano per strada
chiamandomi Sofia come la protagonista, che insegue il sogno
di entrare in una Scuola di talenti».
Amici è stato il tuo trampolino di lancio: cosa
ricordi di quell’esperienza?
«Moltissimo affetto per tutte le persone che ho avuto
accanto, a cominciare da Maria De Filippi, sempre sorridente
e disponibile con tutti, una vera ‘mamma’ per i ragazzi che
iniziavano quell’esperienza, che io ho vissuto nell’ultima
edizione in cui erano mischiate le prove di canto, danza e
recitazione; ma anche con gli altri professori ho sempre
avuto un rapporto molto bello, ricordo soprattutto Maura
Paparo, insegnante di danza; è stato faticoso ma stimolante
l’avere la possibilità di ballare in modo così agonistico
davanti a un pubblico di milioni di telespettatori».
Ti senti realizzata o ti manca ancora qualcosa?
«Mi sento molto felice in questo momento, sia
professionalmente che nel privato, dopo due mesi di
matrimonio. Spero che il futuro sia sereno come adesso. E di
questa felicità non posso che ringraziare anche i miei fan
che mi seguono sempre con passione e affetto».
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PINK NEWS Mompreneurs,
la risposta delle mamme alla disoccupazione
di Antonia del Sambro
Il termine è americano e oltreoceano le donne
che decidono di fare impresa da sé dopo la gravidanza e
dopo l’essere diventate mamme sono un fenomeno
orami collaudato e conosciuto.
In Italia, le mamme imprenditrici sono un evento
ancora recente, ma le stesse stanno crescendo di mese in
mese e i dati ormai parlano più che chiaro: un milione e
trecentomila. Ovvero più del 21% delle imprese del
nostro territorio sono a conduzione femminile, alcune anche
di grande entità e con dipendenti a loro volta,
altre più piccole e a gestione familiare e altre ancora
con semplice partita Iva. Fatto sta che le mamme
italiane, sulla scia e dietro l’impulso di tante altre donne e
mamme del mondo, hanno deciso di mettere un freno alla
tendenza che le voleva relegate a casa dopo la gravidanza o
reintegrate nel mondo del lavoro con contratti indecenti e
salari bassissimi.
E allora, forza con la mompreneurs, una
risposta più che convincente all’indecente quesito di donna
manager o mamma a tempo pieno! Si può fare, direbbe
qualcuno e le mamme italiane lo stanno ampiamente dimostrando;
si può essere mamme premurose e presenti e insieme donne che
lavorano e che si affermano nel ruolo o nell’attività che
più le compete.
Come se non bastasse, inoltre, le imprese in rosa stanno
andando molto bene e sembrano reggere i contraccolpi del
mercato e della crisi degli ultimi anni, tanto che l’Osservatorio
sull’imprenditoria femminile stima che nel 2019 si
arriverà al 29% delle aziende condotte e create da
donne.
È pur vero che nel nostro Paese il mompreneurs è nato
davvero da una esigenza più che concreta e che vedeva le
donne messe da parte una volta che avevano figli e che
diventano mamme, per cui all’inizio non era visto tanto
quanto una vera opportunità di crescita e di realizzazione
personale ma quanto come l’unico modo per portare un salario
a casa; con il passare del tempo però le cose sono
cambiate, le generazioni femminili sono mutate e tante
neo mamme con una laurea alle spalle e magari anche un
master specialistico hanno dato vita a imprese e
progetti di grandissimo valore e competitività, tanto da
attirare l’attenzione anche degli imprenditori colleghi.
La cosa più particolare e incoraggiante è
comunque che qualunque mamma e donna può diventare un
mompreneurs, può lavorare alla cosa che sa fare meglio
e ritagliarsi tempi e spazi personali per seguire e accudire i
propri figli.
Non importa allora se si è una commercialista di primo
livello o una talentuosa pasticcera: tutte le
donne possono fare impresa, crearsi un lavoro ed
essere nello stesso tempo le mamme migliori del mondo.
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Violetta
Degtiareva. Un astro nascente che non c'è più di
Maria Cristina Saullo
Se n’è andata nel fiore degli anni: lo sport
piange la tennista russa Violetta Degtiareva.
La giovane, 23 anni appena, ha avuto un malore
durante l’allenamento e si è accasciata al suolo.
Contrastanti le versioni sulla sua morte.
Alcuni parlano di malore improvviso e decesso in
campo; altri, invece, riferiscono di un ricovero in
ospedale prima che la ragazza perdesse la vita.
In questo caso, i social network l’hanno fatta da padrona:
la notizia, infatti, è rimbalzata in rete come un macigno,
devastando chi la conosceva e apprezzava come sportiva.
È stata la sua amica Anastasia Vdovenco a dare
l'annuncio con una foto sul proprio profilo Facebook ed
una frase in russo: "Non ci posso credere, possa il tuo
cuore riposare in pace".
Nata nel 1991 a Rostov, nel sud-ovest della Russia, sul
grande fiume Don, non lontano dal confini con l’Ucraina,
Violetta era entrata in classifica Wta: una tennista in
erba, come si dice in gergo, ma già famosa e brillante
sul campo. Numero 1084 della classifica, aveva un
best ranking, fissato alla 947esima posizione. Non
aveva mai vinto un torneo Itf, sia nel singolo che nel doppio.
Suo miglior risultato un quarto di finale nel torneo da
10.000 dollari ad Antalya nel 2013.
Lo sport perde un astro nascente e una donna brillante
che, anche se per poco tempo, ha fatto sognare i suoi
estimatori. |
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