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Telegiornaliste anno X N. 21 (409) del 2 giugno 2014
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TGISTE Stefania
Trapani: la mia naturalezza a Sky
di Giuseppe Bosso
Da oltre 10 anni volto di Sky
Tg24 incontriamo Stefania Trapani.
Sky Tg24 punto di arrivo o di ripartenza per lei?
«Sky Tg24 è stata la grande scommessa, l’occasione della mia vita; conducevo il
tg serale di Stream News quando sono stata scelta dall’allora direttore
Emilio Carelli per il nuovo tg di Sky».
Come ci è arrivata?
«Sono a Sky Tg24 dal primo giorno: prima come conduttrice dell’alba, poi come
inviata. Ricordo la prima estate di prove, l’emozione della prima diretta; sono
passati più di 10 anni, e ogni volta è sempre come fosse la prima volta;
l’entusiasmo, l’emozione, la passione… tutto straordinariamente si rinnova, come
per magia e sempre più forte. Chi mi conosce bene dice che sono naif,
camaleontica: vado dove c’è notizia adeguandomi alla circostanza. Mi piace
raccontare la realtà così come la vedo, condividere gli stati d’animo delle
persone che incontro per comprendere meglio… racconto ciò che vivo come lo
spiegherei alla mia piccola Viola che ora ha 4 anni; non ne aveva neanche 2
quando sono partita per il Giglio, quella notte maledetta… e poi il terremoto,
le brutte storie di cronaca. Chi come me ha scelto questo mestiere ora si trova
a raccontare un’Italia che soffre, che stenta, che freme, che vorrebbe e molto
spesso non può. Forse ci vuole un pizzico di sensibilità in più, più cuore,
anche più coraggio, ma senza che ciò traspaia, mai…».
Ricorda il suo primo servizio o la sua prima intervista?
«Non ricordo il primo, ma ricordo senz’altro l’intervista che “ha fatto la
differenza”: Erick Priebke, il boia; l’ho intervistato nel 1998, e non
dimenticherò mai i suoi occhi e il suo sguardo, immobile e “fiero”. Ricordo che
quasi non volevo accettare quell’intervista, ricordo che mi ha segnato. Mi ha
fatto capire quanto la notizia possa (a volte) fare male: ancora di più, se ti
trovi a doverla raccontare».
Da sarda come ha vissuto l’alluvione che ha colpito la sua regione?
«Sono nata in Sardegna e ho trascorso a Sassari i primi 3 anni della mia vita:
pochissimi ricordi, ma saldi nel cuore, soprattutto il legame con una donna, che
io da sempre chiamo nonna: mi ha cresciuto come una nipote e ora purtroppo che
non c’è più, sono rimaste le sue figlie... torno spesso nella mia terra, la
sento mia. Vedere ciò che è successo mi ha fatto male... come un pugno nell’anima…
in un attimo tutto viene distrutto, poi ci vogliono anni solo per pensare di
poter ritornare a come si viveva prima dell’incubo».
Come inviata gira in lungo e in largo l’Italia: i giovani aspiranti
giornalisti secondo lei hanno ancora voglia di ‘sporcarsi le scarpe’?
«Mi sento incredibilmente fortunata perché tutti i giorni posso fare il lavoro
che ho sempre sognato in una grande azienda come Sky, che quotidianamente mi
offre un’opportunità fantastica; molto lo devo al mio direttore
Sarah Varetto, che (sempre presente e instancabile)
guida un’incredibile macchina che non si ferma mai. Come dicevo prima, viviamo
in un momento difficile: ora tutto è più complicato, purtroppo; tempi duri che
spingono a fare sempre di più e sempre meglio in condizioni spesso proibitive.
Bisogna essere coraggiosi, e le nuove generazioni lo sono sicuramente più di
noi. Io noto generalmente molta passione e tanta intraprendenza nei giovani che
incontro sia nella nostra redazione che in giro per l’Italia. Fare l’inviato è
un lavoro entusiasmante quanto complesso; necessita tenacia, perseveranza,
rigore. Sicuramente anche curiosità. E poi tanta pazienza e umiltà, doti
essenziali queste, come mi è stato insegnato tanti anni fa da un grande
giornalista».
Che sensazione le ha suscitato vedersi nel nostro sito, molto
seguita dai nostri lettori?
«Arrossendo un po’ riconosco che mi ha fatto un gran piacere, anzi vi ringrazio
molto per l’attenzione che ci riservate: è bello sapere che c’è chi apprezza il
tuo lavoro, chi ti segue, chi ti chiede come stai. Mi sento lusingata e onorata.
Grazie!». |
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in codice Extension 2014 di Silvia Roberto
Capelli lunghi, forti e lucenti. Chi non vorrebbe avere
una chioma sempre folta e vigorosa? Quando si è
giovani tutto è più resistente, a partire proprio dal
capello: sono tanti e belli; poi, però, con il passare del
tempo e l’avvicinarsi della vecchiaia, il capello perde quella
consistenza e struttura tipica della giovinezza e comincia,
così, ad assottigliarsi arrivando ad avere quantità
sempre minori di capelli.
Ma, care amiche, care donne niente paura perché il rimedio
c’è e non si vede: arrivano le extension, ovvero capelli
veri e non, che donano volume naturale proprio grazie
all’infoltimento ottenuto da questa tecnica; bisogna,
però, fare alcune raccomandazioni al fine di poter
ottenere un effetto duraturo, ma soprattutto sano e
robusto e naturale: innanzitutto si deve far attenzione alla
nuances di colore. L’extension deve legare
perfettamente con il proprio capello; sembra banale, ma in
realtà questo primo accorgimento sta alla base di un buon
risultato che deve sembrare il più naturale possibile.
Per fare questo è quindi necessario che la qualità sia
più che sicura: l’extension deve essere morbida,
setosa e soprattutto durante e dopo il lavaggio deve
potersi districare facilmente; insomma, non dobbiamo
accorgerci che abbiamo delle extension, il tutto deve
sembrare naturale, deve essere parte di noi e dei nostri
capelli.
Un’ultima caratteristica da non sottovalutare è che i capelli
per extension devono avere tutti le cuticole allineate verso
il basso: capita, a volte, che i capelli siano miscelati
tra loro anche contro cuticola; in questo caso dipende da quello
che l’azienda usa ed in base a ciò, ovviamente, anche il costo
subisce una differenza di prezzo non indifferente; chiaramente
se parliamo di una qualità molto elevata sarà anche
chiaro che il prezzo salirà; ma vogliamo o no dei
capelli lunghi, morbidi e setosi che sembrino realmente i
nostri? E allora cosa aspettiamo? Tutti dal parrucchiere! |
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Chiara
Francini, conduttrice di Colorado, direzione Olimpo
di Deborah Palmerini
Nato da un’idea di Diego Abatantuono nel 2003, lo show
Colorado è in programmazione da 11 anni sulle reti
dedicate ai giovani del gruppo Mediaset.
Fucina di giovani talenti del cabaret, Colorado è
stato presentato da coppie di conduttori dotati di charme e
sense of humor, che hanno svolto tutti anche il ruolo di
spalla ai protagonisti in frenetica rincorsa sul palco.
Quest’anno la conduzione è affidata all’ideatore Diego
Abatantuono e alla giovane Chiara Francini: elegantissimo
lui, fresca e brillante lei, reduce dal talent di moda
Fashion Style, andato recentemente in onda su La5.
Chiara Francini, trentaquattrenne toscana, laureata in
Lettere, ha già alle spalle una carriera in teatro,
televisione e cinema, per aver collaborato con grandi nomi
dello spettacolo, anche impegnato, da Serena Dandini a
Marco Giusti a Leonardo Pieraccioni; per lei non
soltanto ruoli in commedie italiane tuttavia, perché nel
2008 il regista americano Spike Lee la sceglie per una
parte nel film che rievocava la strage nazista di S. Anna di
Stazzema; inoltre nello stesso anno Chiara è nel cast della
pellicola Un altro pianeta di Stefano Tummolini, che
vince il premio Queer Lion al Festival Internazionale del
Cinema di Venezia.
La carriera nel cinema di Chiara Francini continua con successo
tanto che nel 2011 il sindacato dei giornalisti
cinematografici la premia come Attrice Rivelazione dell’anno
di nuovo nell’ambito del Festival di Venezia.
Alla recitazione per il grande schermo, Chiara affianca il
lavoro in televisione con la prima co-conduzione di
Colorado (2011) e con il ruolo di Bea nella fiction
Tutti pazzi per amore 3. La parentesi nella tv di Stato
comprende anche la conduzione del programma Aggratis!
su Rai 2.
I riconoscimenti cinematografici non sono gli unici tributati
alla carriera di Chiara Francini; nel 2012 infatti è stata
insignita del Torrino d’oro, la civica benemerenza
assegnata a personaggi di spicco delle istituzioni, della
cultura e dello spettacolo fiorentino; e lei, nata a
Campi Bisenzio, se l’è meritato tutto.
Nella vita di Chiara Francini ancora cinema e ancora tv fino ad
oggi e fino, per ora, alla conduzione dell’edizione 2014 dello
show teatral-televisivo Colorado. Lei, rossa e
bellissima, con sorriso e verve travolgenti, è sul
palco da protagonista, accanto a un totem dello
spettacolo come Diego Abatantuono.
L’edizione 2014 dello spettacolo Colorado si è recitata
per la prima volta a Cologno Monzese e malgrado le
critiche dell’analista Aldo Grasso, che da sempre lo
accusa di essere uno Zelig di serie B, il successo dello
show è molto ben consolidato: gli ascolti, un po’
scesi con l’avvento del digitale che ha largamente ampliato
l’offerta televisiva in chiaro, si sono mantenuti costantemente
su una media del 10% di share, grazie anche ad un cast ricco
che ha offerto, settimana dopo settimana, risate per tutti i
gusti, e a ospiti che ogni volta hanno portato gli
ascolti a picchi più che dignitosi, intervenuti anche per la
celebrazione dell’undicesimo anno di programmazione.
In onore di Colorado sono arrivati a testimoniarne il
successo, solido, longevo e mai parco di ascolti, anche
conduttori storici come Belen Rodriguez,
Rossella Brescia, Beppe Braida, Paolo Ruffini,
Angelo Pintus e Andrea Pucci. Questi ultimi
inoltre erano parte integrante del cast di quest’anno.
Nell’ultima puntata è andato in scena anche l’omaggio a
Roberto "Freak" Antoni degli Skiantos (recentemente
scomparso) che aveva partecipato insieme al resto del gruppo
alle prime edizioni del programma.
Nell’edizione di grande successo del 2014, i telespettatori di
Italia 1 hanno scoperto anche la vena comica di Chiara
Francini e la sua grande capacità di svolgere il ruolo chiave di
spalla.
La sua è una carriera già molto ricca, scintillante di
talento e capacità innate, che la porteranno a risultati
sempre più alti: fin nell’Olimpo delle star. |
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PINK NEWS Quando
la discriminazione tocca la salute di
Antonia del Sambro
È scioccante e ingiusta la nuova sentenza dell’Alta
Corte di Londra che impedisce da ora in avanti a
centinaia di donne del nord dell’Irlanda di usufruire delle
strutture sanitarie pubbliche in Inghilterra per poter
abortire.
Ogni anno, infatti, causa le leggi e le ristrettezze che
ancora governano Belfast e tanta altra parte del territorio
irlandese molte donne, soprattutto quelle più giovani, si
vedono costrette ad attraversare il mare che le separa
dall’Inghilterra e recarsi ad abortire gratuitamente presso
le strutture sanitarie pubbliche inglesi. Le quali, detto senza
timore, risultano efficienti e all’avanguardia tanto
quanto quelle private.
L’Alta Corte di Londra, però, ha deciso ultimamente di
sopprimere questo privilegio alle cittadine irlandesi che
pur facendo parte del regno di sua Maestà si vedono costrette
ora a sborsare ingenti cifre nel caso decidano per una
interruzione di gravidanza.
A guardarlo con attenzione il problema non è solo di
carattere finanziario ma anche etico, sociale e personale,
dato che non solo le cittadine del nord dell’Irlanda si vedono
costrette a varcare i confini del proprio territorio per
abortire agevolmente, nonostante la legge che dichiara legale
questa pratica sia acquisita da oltre quarant’anni, ma si
vedono anche e soprattutto inevitabilmente discriminate
dovendo rivolgersi a cliniche private e pagare parcelle
carissime.
Una sentenza e una legge quindi che vanno a toccare non solo
diritti civili e che dovrebbero essere già acquisiti, ma anche
la salute di tutte queste donne, soprattutto delle
meno abbienti esposte così a pratiche illegali o
sbagliate o peggio ancora dannose per la loro salute.
E la nuova legge è così ingiusta e parziale che non ha mancato
di suscitate critiche e sdegno in tutta Europa e anche
fuori e ha finito, giustamente, per coinvolgere anche
associazioni umanitarie e della difesa dei diritti come
Amnesty International e altri gruppi che si battono da
sempre per eliminare nel mondo questo tipo di discriminazioni e
di privilegi, tanto più quando in ballo c’è la salute di
tante donne.
Tutto sempre essere partito dalla denuncia di due donne
che si erano viste rifiutare la loro richiesta di
interruzione di gravidanza presso un ospedale inglese; l’iter è
proseguito quindi fino all’Alta Corte di Londra che si è
pronunciata a favore della struttura ospedaliera, arricchendo la
sentenza anche di una nuova e del tutto ingiusta legge.
Ed è un peccato: perché pensare che nel nuovo
millennio possano esserci ancora cittadine di serie A e
cittadine di serie B, privilegiate per nascita e residenza e
penalizzate per uguali motivi, mette a rischio tutte le lotte
civili e sociali portate avanti e vinte nell’ultimo mezzo
secolo.
La speranza è che la Corte londinese ci ripensi ma
soprattutto che il governo di Belfast ponga le sue cittadine
nelle condizioni più giuste e più democratiche per poter
effettuare scelte di vita così importanti e decisive nella
propria patria. |
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DONNE Etty
Hillesum, la libertà nei suoi scritti: «la vita è difficile,
ma non è grave»
di Maria Cristina Saullo
«Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono
dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso
dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave.
Dobbiamo prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà
allora da sé: e lavorare sé stessi non è proprio una forma di
individualismo malaticcio».
Un pensiero emblematico; uno spaccato di vita vissuta
intensamente quella di Esther Hillesum, detta Etty:
la scrittrice olandese, di origine ebraica,
vittima della Shoah, che ci ha lasciato degli scritti,
ancora oggi attuali, e ricchi di significato.
Sono famosi, infatti, i suoi diari, scritti in uno dei
periodi più bui della storia mondiale.
La sua è la storia di una donna brillante, seria, piena
di interessi e di curiosità.
Negli anni a cavallo tra il 1941 e il 1942 Etty Hillesum,
scrisse, ad Amsterdam, un diario.
I suoi scritti, i suoi pensieri le servivano, con molta
probabilità, a scopo terapeutico, ma anche per far
uscire fuori la sua grande cultura e la voglia di mettere su
carta tutta la sua beltà; voleva diventare una grande
scrittrice, ma sapeva che i suoi progetti erano di difficile
realizzazione.
Anche in questo caso, si preoccupò che suoi lavori editoriali
non andassero perduti, e così fu. Il destino, per lei,
non era stato benevolo: venne deportata in Polonia, ad
Auschwitz, dove si scoprì, dopo la fine della guerra, venne
uccisa.
«Bene - scriveva - accetto questa nuova certezza:
vogliono il nostro totale annientamento. Ora lo so; non darò
fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se gli altri non
capiranno cos'è in gioco per noi ebrei. [...] Continuo a
lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita
ugualmente ricca di significato».
Parole sentite, convinte, che trapelano dal più profondo
dell’anima di una donna che non ha avuto paura e che con il
suo lascito prezioso fa capire come la parola “negazionismo”
debba essere abolita definitivamente; la storia ci insegna
che l’amore verso il prossimo, l’umiltà, la
consapevolezza di ciò che è accaduto debbano insegnare a far
camminare le persone nella più completa onestà intellettuale. |
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