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Telegiornaliste anno X N. 14 (402) del 14 aprile 2014 
	
 
 
	
		
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			TGISTE Alessandra 
Altomare: ho ritrovato la serenità di Giuseppe Bosso   
 
Volto di
TVA 
Vicenza, Alessandra Altomare si racconta a Telegiornaliste, per parlare di 
sé, del suo lavoro e anche di una spiacevole vicenda che, fortunatamente, si è 
per lei conclusa in modo positivo.  
 
L’ambiente della provincia veneta ti sta stretto?  
«Assolutamente no; lavoro a stretto contatto con persone genuine, è molto 
soddisfacente».  
 
Da giornalista e da cittadina che idea ti sei fatta di questa improvvisa 
voglia di uscire dall’euro, e non solo, che sta caratterizzando il Nord Est dove 
lavori?  
«Su alcuni spunti, su alcune tematiche, come per esempio in ambito fiscale (il 
far restare qui dove vengono pagate le tasse i soldi) credo si possa essere 
d'accordo; ma l'estremizzazione, la voglia di secessione, tutto ciò che 
oltrepassa una certa soglia di accettabilità, per me non va bene».  
 
In prospettiva futura in quale settore dell’informazione vorresti 
interessarti maggiormente?  
«Conduco il tg e curo rubriche; adesso ho iniziato un interessante lavoro legato 
al mondo della disabilità, ai problemi come le barriere architettoniche e le 
difficoltà che incontrano queste persone. Sarebbe bello poter approfondire 
questi temi».  
 
Hai avuto modo di partecipare anche al nostro
forum interagendo con i tuoi fans: cosa ti ha colpita di Telegiornaliste?
 
«Da parecchio non lo seguo, ma è l'occasione giusta per ritrovarci questa... è 
stata una scoperta molto carina per me, soprattutto per la possibilità di 
potermi confrontare senza antagonismi con tante colleghe, soprattutto di 
emittenti locali, che hanno un maggiore contatto con la realtà territoriale».
 
 
Senza entrare nel merito di quello che hai attraversato, sei riuscita a 
superare la spiacevole vicenda di stalking che ti ha visto coinvolta?  
«Il processo, civile e penale, è ancora in corso; per quanto mi riguarda, dal 
punto di vista psicologico, posso dire che sì, ho superato quei momenti, 
soprattutto perché dopo soli tre mesi sono potuta tornare nella casa dove 
abitavo perché quella persona che mi importunava è andata via; e inoltre, c'è 
un'altra bella notizia: di quella casa sono anche diventata proprietaria, il 
modo migliore per archiviare quella brutta pagina della mia vita».  
 
È cambiato qualcosa per te nel modo di rapportarti con le persone?  
«Sono sicuramente più attenta, più diffidente; lo stalker, la persona che ti 
infastidisce, purtroppo quasi mai quando ti si presenta si mostra ostile come 
poi si rivela...».  
 
Cosa farai da grande?  
«Spero di poter continuare a fare fino alla pensione questo meraviglioso lavoro, 
che ho sognato fin da ragazza, e a cui ho dedicato la mia vita, malgrado qualche 
momento di disoccupazione».  | 
		 
		
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			NONSOLOMODA Tempo 
				di diete e di bilanci: siamo ciò che mangiamo? 
				di Maria Tinto  
				 
				L’estate è alle porte: diamo allora il via libera alle 
				diete.  
				 
				Se sotto i cappotti abbiamo accumulato un po’ di ciccia, 
				che adesso viene fuori dalle camicette che la bella 
				stagione ci impone, allora è il momento di metterci a dieta.
				 
				 
				A chi non è mai capitato almeno una volta di seguire una 
				dieta, magari la dieta consigliata dall’amica o dalla 
				cugina, quella che ha perso dieci chili in un mese?  
				 
				Abbiamo fatto mille sacrifici, mille rinunce per 
				ritrovarci a settembre con qualche chilo in più rispetto ad 
				aprile, a quando avevamo deciso di provarci ancora con una 
				nuova dieta.  
				 
				C’è anche chi è perennemente a dieta, che passa 
				nevroticamente da una dieta all’altra sperando ogni volta in 
				un miracolo.  
				 
				C’è chi al supermercato passa ore a leggere le 
				etichette con l’indicazione delle calorie e poi arriva a 
				casa stressato e si tuffa nel barattolo della nutella.
				 
				 
				Tutto questo ha un costo in termini di benessere psicofisico; 
				un costo spesso elevato che si traduce in malesseri diffusi 
				di cui spesso non riusciamo a riconoscerne l’origine.  
				 
				Se è vero che siamo ciò che mangiamo allora cerchiamo di
				nutrirci bene.  
				 
				Cominciando col volerci bene e non solo per “entrare” in 
				quel vestitino che ci piace tanto, ma soprattutto perché 
				volerci bene è il dovere più grande che abbiamo nei confronti 
				della vita.  
				 
				Allora che ne dite se per dimagrire cominciassimo col 
				mangiare le cose che ci piacciono di più? Può sembrare un 
				paradosso ma in realtà la logica che segue è molto 
				semplice.  
				 
				Mangiare quello che piace di più vuol dire assecondare i 
				bisogni del proprio corpo che dimostrerà la sua gratitudine
				evitando di far strafare con le abbuffate.  
				 
				Mangiare ciò che piace di più, vuol dire favorire il 
				benessere della mente oltre che del corpo; vuol dire 
				concedersi quella serenità che durante le attività quotidiane 
				non ci è permessa.  
				 
				Fare un pasto rilassati e contenti di mangiare cose gradevoli, 
				ci rende consapevoli di quello che stiamo gustando, senza più 
				lo stress della rinuncia.  
				 
				Questo ci aiuterà ad avere coscienza di quello che stiamo 
				mangiando e ci offrirà quella sazietà che mille diete non 
				ci doneranno mai.  
				 
				Perché se una cosa me la concedo, allora ci posso rinunciare; ma 
				se continuo a negarmela diventerà un pensiero fisso 
				e sarà irrinunciabile.  
				 
				Prima o poi cadrò nella trappola che io stesso ho creato 
				e quando succederà lo farò con la rabbia e l’ansia di colmare 
				quel vuoto e la mia fame non conoscerà appagamento.  
				 
				A quel punto non basterà il contenuto del frigo per colmarla; 
				infatti c’è chi dopo aver vuotato il frigorifero di ogni 
				vivanda, ha mangiato poi gli omogeneizzati del figlio!
				 
				 
				Ogni tipo di eccesso è da rifuggire: l’unica regola da 
				seguire è quella di mangiare rigorosamente nei tre pasti 
				principali, evitando tassativamente di mangiare fuori 
				pasto, scongiurando i cibi fritti che, in ogni caso, 
				non aiutano a stare bene.  
				 
				Un ultimo suggerimento è quello di non rinunciare ad una 
				salutare passeggiata di almeno un’ora al giorno, che 
				consente di smaltire le tossine della mente accumulate 
				nostro malgrado.   
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			TUTTO TV 
			 Chissà 
				mai perché o’mare e o’sole non bastano di 
			Deborah Palmerini  
				 
				Lo scenario è un piccolo paradiso italiano; il 
				protagonista è l’uomo dei sogni di più generazioni di donne in 
				tutto il globo; il tonno è una delle qualità 
				migliori, ma qualcosa non torna ed è subito polemica.
				 
				 
				L’argomento è il nuovissimo spot pubblicitario realizzato 
				nella magia della costiera amalfitana, con l’attore 
				statunitense Kevin Costner a decantare la bontà del 
				tonno Rio Mare, a tavola insieme con tre bellissime donne 
				italiane trasognanti.  
				 
				Tutto perfetto come in ogni spot ben riuscito, se non 
				fosse che Francesco Emilio Borrelli e Gianni Simioli, 
				animatori e speaker del programma contenitore musical-sociale 
				La Radiazza, in onda sulla partenopea Radio Marte, hanno 
				svelato il trucco digitale che ha modificato lo scenario 
				della costiera: con la tecnologia infatti la Torre 
				Saracena, immersa nel cuore del Parco Nazionale del 
				Cilento, è diventata un faro costruito grazie 
				all’utilizzo della computer grafica, che nello spot è 
				trasformato nella casa vacanze di Kevin Costner, interprete di 
				se stesso.  
				 
				Evidentemente ‘o mare e ‘o sole non 
				bastavano a saziare la voglia di romanticismo degli 
				sceneggiatori, quindi si è pensato bene di fare un “ritocchino” 
				al panorama.  
				 
				Ma lo spot non serve soltanto alla nota marca di tonno in 
				scatola; è anche uno straordinario colpo di promozione 
				turistica grazie alla presenza di uno degli attori più 
				apprezzati dello star system:  
				dunque alterare il paesaggio potrebbe essere controproducente 
				per il turismo, inducendo aspettative che potrebbero 
				rivelarsi deludenti; non va dimenticato infatti che i 
				personaggi molto amati come Costner riescono a muovere 
				migliaia di persone, come accaduto per la villa in riva 
				al mare di Salvo Montalbano, il personaggio di Andrea 
				Camilleri interpretato in televisione da Luca Zingaretti, 
				diventata una meta turistica molto ambita; anche il faro 
				virtuale potrebbe essere richiesto come alloggio dai turisti.
				 
				 
				L’inevitabile diniego potrebbe alimentare fastidiosi 
				stereotipi sugli italiani e peggio ancora, sui 
				campani; le amministrazioni locali sono insorte 
				contro l’abuso paesaggistico benché virtuale, e ne chiedono la
				rimozione, virtuale anch’essa ma potenziale foriera di 
				inconvenienti reali. 
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			PINK NEWS CIAI 
				contro spose bambine 
				di Silvia Roberto  
				 
				Bambina, una parola che porta indietro nel tempo; 
				una parola sinonimo di spensieratezza, divertimento; 
				una corsa nel prato, giocare a nascondino o a 
				moscacieca... chi di noi, piccole e grandi donne, non ha 
				nostalgia della propria infanzia? Di quel mondo dove i 
				problemi non esistevano e le cose per adulti erano 
				qualcosa di sconosciuto, qualcosa che non ci apparteneva.
				 
				 
				Eppure, in varie parti del mondo molte bambine sono già 
				grandi: costrette a matrimoni e a gravidanze troppo 
				precoci; bambine alle quali è stato tolto il diritto di 
				essere tali; private del gioco, dell’istruzione... 
				è tempo di dire basta.  
				 
				Per questi motivi il 
				C.I.A.I. 
				ha organizzato una campagna di raccolta fondi dal nome “No 
				alle spose bambine”; un progetto che ha lo scopo di dire 
				basta ai matrimoni prematuri. In India, il 46% delle 
				donne diventa sposa prima di aver raggiunto la maggiore età e 
				questo nonostante la legge indiana lo vieti; così come nei
				Paesi in via di sviluppo una donna su tre diventa moglie 
				prima dei 18 anni; dai dati Unicef scopriamo che ogni 
				giorno 37.000 bambine o adolescenti diventano spose.  
				 
				L’obiettivo della campagna è proprio quello di favorire 
				l’educazione, la crescita lo sviluppo di queste piccole 
				creature, prepararle ad un futuro nel quale potranno 
				essere indipendenti, svolgere un lavoro che consenta 
				loro di contribuire al fabbisogno della famiglia. E questo 
				attraverso la scuola, la formazione, la 
				sensibilizzazione, il coinvolgimento diretto di tutti gli 
				adolescenti, maschi e femmine.  
				 
				Fino al 12 aprile è stato possibile, tramite il numero solidale 
				45505 fare donazioni mediante i diversi operatori del settore 
				delle telecomunicazioni, anche grazie al sostegno di partner 
				come Radio 105, Gioele Dix (testimone della campagna) Universo 
				Sport e Firenze Corre.  
				 
				780 adolescenti, di cui 400 tra bambine e ragazze in 26 villaggi 
				delle isole Andamane, potranno così essere finalmente 
				libere.  
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			DONNE La 
				leggenda della pianista nel campo di concentramento 
				di Antonia Del Sambro  
				 
				Alice Herz-Sommer si è spenta a Londra all’età di 110 
				anni.  
				 
				Un traguardo di vita di tutto rispetto considerando che Alice 
				era la più anziana sopravvissuta dell’Olocausto nazista e 
				che la morte l’aveva vista da vicino più e più volte.
				 
				 
				Alice, nella sua Praga dei primi del Novecento, aveva 
				imparato a suonare il piano, un po’ perché le 
				signorine di buona famiglia dell’epoca lo facevano quasi 
				tutte e un po’ perché a lei suonare piaceva davvero tanto. 
				La musica, anzi, era la sua più vera e autentica passione.
				 
				 
				Alice conosceva alla perfezione il repertorio classico, ma si 
				dilettava a suonare anche brani di compositori contemporanei 
				e lo faceva sempre con il sorriso sulle labbra e con la
				gioia nel cuore.  
				 
				Quando conobbe Alfred fu amore a prima vista e con 
				la dolcezza e la grazia che contraddistinguevano 
				da sempre Alice, i due si sposarono e misero al mondo 
				Stephen.  
				 
				Amore e musica, quindi, per una famiglia che viveva la 
				normalità del suo tempo pur in mezzo alla straordinarietà 
				degli eventi e della storia.  
				 
				Nel 1938, le leggi razziali fecero sì che molte famiglie 
				ebree emigrassero in cerca di pace e salvezza in altre parti 
				del mondo e lasciassero quella vecchia Europa che sembrava preda 
				della follia più assurda e inspiegabile.  
				 
				Molti dei famigliari di Alice, prima che arrivasse il peggio, 
				decisero di emigrare nell’allora Palestina, altri 
				fuggirono in America ma Alice preferì restare a Praga per 
				accudire la madre che era molto ammalata.  
				 
				Per lei, sua madre, il marito e suo figlio Stephen fu il 
				disastro più assoluto.  
				 
				Alfred venne imprigionato per primo e condotto all’inizio ad 
				Auschwitz e poi nel campo di concentramento di Dachau 
				dove morì senza poter rivedere o riabbracciare sua moglie e 
				suo figlio.  
				 
				Alice e il piccolo Stephen furono portati nel campo di 
				Teresin, restando in Cecoslovacchia, ma tagliati fuori 
				dal resto del mondo: schiavizzati, umiliati, affamati e 
				distrutti nel corpo e nell’anima dai nazisti e dal regime 
				omicida.  
				 
				Con Alice e suo figlio a Teresin c’erano quasi 
				centocinquantamila ebrei; quasi quarantamila di questi 
				morirono.  
				 
				Alice e Stephen riusciranno a sopravvivere fino all’arrivo 
				dei liberatori e allo smantellamento del campo di concentramento. 
				Come? Alice spiega e racconta che è stato merito della musica, 
				delle note che le permettevano di evadere con la mente e con 
				lo spirito e che spingevano a questa stessa illusoria evasione 
				anche suo figlio e i tanti prigionieri che dividevano con lei 
				gli spazi di morte e distruzione del campo di Teresin nonché 
				la sua stessa infelice sorte.  
				 
				Prima che la più anziana sopravvissuta all’Olocausto ci 
				lasciasse per sempre, però, è stato girato un documentario,
				The Lady in number 6, candidato come miglior 
				corto alla serata degli Oscar dello scorso mese di marzo; un
				omaggio a una dolce e fortissima donna.  
				 
				Un documento da tramandare alle future generazioni per 
				raccontate la forza della vita anche tra la più atroce follia e 
				l’oppressione della morte; un addio ad Alice; e un grazie 
				per la sua musica.  | 
		 
		
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