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Telegiornaliste anno IX N. 34 (378) del 14 ottobre 2013
 
	
		
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			| TGISTE Federica 
Lodi: sportiva, ma non solo 
di Giuseppe Bosso 
 Originaria di Ferrara, professionista da giugno 2013, 
Federica Lodi lavora dal 
2008 a
Sky Sport 24 dopo svariate esperienze tra radio, tv e carta stampata.
 
 Com'è arrivata a Sky?
 «Sono arrivata a Sky dopo anni di gavetta nella mia città, Ferrara. Ho iniziato 
a lavorare molto presto, nel 2000, e mi sono divisa per anni tra tv, giornali, 
radio e uffici stampa. L’opportunità di lavorare per Sky Sport 24 è nata nel 
2008: prima come corrispondente da Bologna, poi a Milano, in redazione».
 
 Come nasce il suo amore per la pallavolo?
 «Nasce da lontano: ero ancora alle medie quando la squadra maschile di Ferrara 
giocava in A2. Io, che mi dilettavo a giocare nelle giovanili, mi sono 
appassionata al volley, quello giocato da altri. L’amore vero, quello che ancora 
non si è spento, è nato nella stagione 97/98, durante il primo anno della 
squadra maschile in A1. E la passione si è anche trasformata in lavoro: per 
diversi anni sono stata l’addetta stampa della squadra».
 
 Anche lei si è avvicinata a questo sport sulla scia di cartoni come Mila e 
Shiro e Mimì?
 «Quale ragazza della mia età non è cresciuta con questo mito? Mila, sì. Anche se 
in realtà poi è stata presto affiancata da leggende del volley al femminile, 
come Keba Phipps e Maurizia Cacciatori, e soprattutto dai miti del maschile, la 
nazionale di Velasco».
 
 In futuro le piacerebbe restare giornalista sportiva o occuparsi anche di 
altro?
 «Amo il mio lavoro e lo sport. Non mi dispiacerebbe, un giorno, occuparmi anche 
di musica, l’altra mia grande passione».
 
 Ha seguito le Olimpiadi di Londra l'anno scorso: cosa le è rimasto di questa 
esperienza?
 «È stato il momento più bello della mia carriera. Umanamente e 
professionalmente. Un sogno che si è realizzato. Vivere una città come Londra, 
in un momento straordinario come quello dei Giochi, è stato fantastico. Io ho 
vissuto l’esperienza di inviata da Casa Italia: ho avuto modo di 
incontrare e raccogliere le sensazioni di tutti i medagliati azzurri. Emozioni 
fortissime. Anche se il momento più bello, per me, è stato vedere la nazionale 
di volley vincere la medaglia di bronzo. Un po’ mi sono sentita anche io sul 
podio con la squadra e la maglia di Bovolenta».
 
 Qual è, almeno nel suo caso, il look ideale per una tgista sportiva?
 «Un look sobrio e molto attuale. Anche se bisogna sapersi adattare alla 
situazione».
 
 Che cosa ha pensato scoprendo nel nostro forum una
pagina dedicata a lei dagli utenti che la seguono e la 'capsano'?
 «Curiosità. Spesso, gli utenti che scrivono di me, mi strappano anche un 
sorriso».
 
 Cliccando il nome ci si imbatte in un video in cui si trova alle prese con 
due 'buontemponi' in puro stile Paolini: quell'esperienza le crea imbarazzo?
 «Purtroppo sono situazioni che, quando si lavora live fuori dallo studio, 
capitano. Era uno dei primi collegamenti da Londra: con le luci puntate non ho 
visto, nemmeno girandomi, cosa accadeva alle mie spalle. Spiacevole, certo: ora 
però se ci penso è stato un altro momento di crescita all’interno 
dell’esperienza olimpica».
 
 Da quel momento ha adottato 'precauzioni' quando si trova a fare l'inviata 
per evitare situazioni simili?
 «É difficile: può sempre capitare un imprevisto, definiamolo così, purtroppo 
anche di cattivo gusto. Bisogna solo sapere andare avanti e fronteggiare anche 
le situazioni imbarazzanti».
 
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			| NONSOLOMODA Dalla 
				fantasia alla realtà 
				di Michela Tortolano 
 In quanti ricordiamo Super Vicki, la sitcom in 
				onda negli anni 80 nel piccolo schermo? La simpatica bambina 
				robot divertiva sia per le sue errate interpretazioni, 
				eseguendo un po’ troppo alla lettera i comandi dei suoi padroni, 
				sia perché… inverosimile.
 
 Ora no, l’inverosimile ha cambiato parametri: esistono continui
				studi ed avanzamenti nel campo della cibernetica, tanto 
				che ad oggi si conoscono diversi esempi di robot, concepiti per 
				entrare nella vita dell’uomo, per soddisfare molte 
				necessità e convivere con lui. Si è infatti circondati da 
				macchine sempre più autonome nel gestire mansioni domestiche; se 
				si pensa, poi, ad alcune casse nei grandi supermercati o a 
				quelle dei caselli autostradali si osserva come le “relazioni” 
				con i sistemi automatici siano divenute via via più familiari.
 
 Ad arrivare a umana immagine e somiglianza è Carl, 
				l’ultimo nato dalla concezione robotica: è “impiegato” in 
				qualità di cameriere nel bar del suo creatore, in una 
				cittadina tedesca. L’ingegnere che lo ha ideato e costruito 
				ha volutamente inserito il robot in un contesto di relazione 
				“attiva” e in divenire con gli esseri umani. Infatti Carl 
				riesce a preparare cocktail e a servire i clienti che, 
				curiosi ed increduli, sono sempre più numerosi. Quello che 
				meraviglia dello speciale barman non sono certo gli spostamenti 
				eseguiti dietro al bancone, ma la “sensibilità” nel 
				maneggiare accessori di plastica e di vetro. Questo 
				laboratorio reale permette all’ing. Ben Schaefer di testare e 
				migliorare il suo progetto in una situazione live.
 
 Ma non è l’unico luogo pubblico ad avvalersi di 
				dipendenti-robot: in un ristorante cinese si contano venti 
				umanoidi capaci di occuparsi della consegna degli ordini e di… 
				cucinare; riescono a riconoscere alcune delle principali 
				espressioni umane e intrattengono i clienti cantando canzoni 
				fino all’arrivo del pasto.
 
 A Boston, invece, vengono creati e spediti in tutto il 
				mondo molteplici androidi Kiva impiegati in magazzini 
				del settore e-commerce. Sono molto apprezzati perché 
				riescono a rendere, purtroppo, quattro volte più di un 
				“classico” dipendente.
 
 Da questi vantaggi si attiva la riflessione in merito a 
				quante facilitazioni porti l’impiego dei robot a discapito 
				dell’occupazione…
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			| TUTTO TV Mika, 
				rivelazione di X Factor 
				di Silvia Roberto 
 Settima edizione per il talent 
				X 
				Factor che mai come quest’anno sta spopolando fin 
				dai primi provini per la presenza del mattatore; parliamo di 
				Mika, il cantante anglo-libanese che da quest’anno si 
				ritrova nella giuria, soppiantando una oramai già 
				dimenticata Arisa.
 
 Nato nel 1983 da madre libanese e padre statunitense, Mika è il 
				terzo di cinque figli; in seguito alla guerra civile la 
				famiglia è costretta a lasciare il Libano e a rifugiarsi in 
				Francia a Parigi; con il rapimento del padre presso l’ambasciata 
				americana in Kuwait, negli anni 90, la futura popstar sbarca a
				Londra dove frequenta il Lycée Français Charles De 
				Gaulle, la Westminster School e il Royal College 
				of Music.
 
 Una scelta più che azzeccata quella di puntare sul cantante 
				internazionale, che si è ambientato più che bene nel 
				programma italiano insieme ad una giuria oramai 
				consolidata, formata da Simona Ventura, Morgan ed
				Elio; una sfida – dice – soprattutto linguistica; 
				famoso infatti il suo accento anglofono sulla “o” quando 
				annuncia: “avanti il prossimo concorrente, per favòoore!”.
 
 Come non sciogliersi di fronte ai suoi “io parlo poco 
				l’italiano ma capisco pompa” o le sue frasi “canti come 
				un gatto drogato” che detto da lui arriva come un 
				complimento: pungente, spietato se serve, ma sempre molto 
				educato, sta spopolando sul web per le sue punzecchianti 
				frasi dette però in modo adorabile; è ritenuto un perfetto 
				intrattenitore capace di mettere in un angolo anche Morgan 
				che, a detta di molti, ha perso la corona di star più eccentrica 
				del programma.
 
 Attenzione però ai concorrenti che non conoscono molto bene 
				l’inglese perché da quest’anno ci sarà un madrelingua 
				pronto a commentare. Come l’episodio, o meglio parlare di 
				disavventura, successa alle “Nices” che tentano di 
				cantare a cappella un famoso brano delle Spice Girls 
				trasformando totalmente il ritornello: da “I wanna really, 
				really, really” in un “I wanna willy, willy, willy” 
				che oltreoceano significa: “voglio un pisello, pisello, 
				pisello” scatenando così in Mika una risata a 
				crepapelle per lo strafalcione.
 
 Insomma si preannuncia una stagione ricca di risate, 
				divertimento e buona musica in attesa di scoprire chi sarà il 
				nuovo Marco Mengoni o la straordinaria Giusy Ferreri.
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			| PINK NEWS Le 
				condizioni delle carceri italiane: un dramma anche rosa di 
			Malvina Podestà 
 Sovraffollamento, spazi angusti, divisioni e 
				gerarchie isolate, condizioni igieniche a volte precarie e 
				pochissimi contatti con l'esterno; le condizioni dei 
				detenuti nelle carceri italiane sono allarmanti e sebbene si 
				tratti di un tema impopolare e spinoso è necessaria una 
				soluzione; proprio in questi giorni saranno prese in esame 
				le proposte di legge su amnistia e indulto presentati dai 
				senatori Compagna (Gal) e Manconi (Pd) volte a risolvere queste 
				problematiche.
 
 Chi non ha mai avuto un'esperienza diretta delle carceri 
				italiane non può conoscere realmente la vita al loro interno; 
				negli ultimi anni documentari e programmi tv stanno cercando 
				di sensibilizzare la popolazione con immagini e testimonianze 
				dirette, che rivelano sempre condizioni di grande disagio e 
				disperazione.
 
 Condizioni negative che si ripercuotono anche su tutto il 
				personale che lavora in carcere, inferiore rispetto a 
				quello che i numeri delle prigioni italiane richiederebbero.
 
 Ma se si è parlato delle carceri maschili e di altri istituti con 
				condizioni critiche, come gli OPG, ospedali psichiatrici 
				giudiziari, spesso si dimentica di un'altra realtà sicuramente 
				minore, quella delle carceri femminili.
 
 Le detenute di sesso femminile sono infatti pochissime in 
				tutta Europa, il 6%, e in Italia esistono solo 5 istituti 
				femminili: a Trani, Pozzuoli, Roma Rebibbia, Empoli ed a 
				Venezia Giudecca.
 
 Vista la minoranza del fenomeno le condizioni e i peculiari 
				problemi delle donne in carcere sono poco conosciuti ed 
				affrontati; basti pensare che è solo da pochi anni che esiste 
				un regolamento dedicato esclusivamente all'esecuzione penale 
				femminile, con il quale si è cercato di garantire anche 
				in prigione i bisogni e le necessità delle donne: si tratta 
				della circolare della Direzione Generale dei Detenuti e del 
				Trattamento (circolare 
				n.0308268 del 17 settembre 2008) che consente ad esempio 
				l'uso di prodotti per la cura personale come 
				fermacapelli, smalto, prodotti per la depilazione.
 
 Ma oltre ai problemi di natura personale, esiste un dramma 
				gravissimo, visto che ad essere coinvolti sono anche degli 
				innocenti: il dramma delle madri in carcere.
 
 Il rapporto con una madre detenuta non può essere che spinoso e 
				difficile: i contatti sono possibili solo attraverso brevi 
				telefonate e visite saltuarie, spesso nei periodi di vacanza 
				dalla scuola.
 
 Ancora più allarmante è poi la condizione dei bambini in 
				carcere: sono infatti circa una cinquantina i bambini che in 
				Italia sono nati e vivono dietro alle sbarre; se una donna 
				sola, senza parenti o cari, partorisce o ha un figlio piccolo 
				nel periodo di reclusione la soluzione è quella di far vivere e 
				crescere il bambino in cella.
 
 Questo è possibile fino all'età di 4 anni circa, quando il 
				bambino deve necessariamente uscire dal carcere; in questo 
				modo piccoli e piccole non solo crescono in un ambiente 
				tutt'altro che adatto e idoneo alla loro età e ai loro bisogni, 
				ma sono costretti anche ad un abbandono traumatico della 
				propria routine e della madre, la sola figura di riferimento che 
				hanno avuto per tutta la vita.
 
 Per fortuna c'è chi sta lavorando per cambiare la condizione 
				della maternità per le detenute e nel 2007 a Milano è nato l’ICAM, 
				Istituto a Custodia Attenuata per Madri detenute e i loro figli, 
				da 0 a 3/6 anni.
 
 Si tratta del primo e unico istituto in Italia dove, 
				sebbene per le madri vigano le stesse regole carcerarie, i 
				bambini possono crescere e vivere in tranquillità, senza 
				sbarre e spazi angusti e con agenti in borghese;frequentano 
				inoltre asili e scuole della zona e in questo modo hanno 
				modo di sperimentare anche relazioni all'esterno, 
				fondamentali per la crescita.
 
 Esperienze di questo tipo non possono che incidere 
				positivamente sulla situazione delle carceri italiane e sulla 
				nostra società; non dimentichiamo infatti che solo 
				attraverso il giusto funzionamento di questi istituti la pena 
				potrà eseguire la sua funzione primaria, quella della 
				rieducazione, ed evitare che ex detenuti, usciti dal carcere 
				con solo un carico di odio e frustrazione, ripetano i propri 
				errori.
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			| DONNE Sofia Coppola, un nome importante nella cinematografia mondiale 
				di Maria Cristina Saullo 
 Sofia Carmina Coppola: una donna, attrice, regista, 
				sceneggiatrice italoamericana, con un cognome importante 
				ed una discendenza che la dice lunga sui cineasti più 
				blasonati del mondo.
 
 Nata a New York il 14 maggio del 1971, è la figlia del famoso 
				regista Francis Ford Coppola; nel suo albero genealogico 
				si possono annoverare nomi del calibro di Talia Shire, 
				Nicolas Cage, Jason Schwartzman e Robert Carmine.
 
 La sua è una carriera ricca di gioie e soddisfazioni: è, 
				infatti, la prima donna a stelle e strisce ad aver ottenuto 
				una nomination come miglior regista all'Oscar e ad aver 
				vinto il premio per la miglior sceneggiatura originale.
 
 La sua carriera di attrice comincia molto presto, apparendo 
				in fasce nelle vesti di un giovane uomo, in un capolavoro di 
				Coppola senior, Il padrino, nel ruolo di Michael 
				Francis Rizzi, nipote di Michael Corleone.
 
 Poi, nel 1987, il primo film: Anna, non diretto 
				dal padre; ma il suo ruolo di attrice più importante resterà 
				quello di Mary Corleone ne Il padrino - Parte III 
				del 1990; una parte che Sofia ricoprì all'ultimo minuto, dopo 
				che Winona Ryder abbandonò il set.
 
 Non fu la sua miglior performance e la Coppola venne 
				criticata a tal punto da chiudere, quasi, la sua carriera di 
				attrice.
 
 Negli anni a venire le sue apparizioni furono brevi. Nel 
				1992 una meteora nel film indipendente Inside Monkey 
				Zetterland e, nel 1999, un cameo in Star Wars: episodio I 
				- La minaccia fantasma, per non dimenticare la parte di una 
				ginnasta nel video Elektrobank dei Chemical Brothers.
 
 Con il passare degli anni la sua attività si è incentrata sulla
				regia; dopo il debutto con il cortometraggio Lick 
				the Star, Sofia Coppola ha scritto e diretto diversi 
				lungometraggi: Il giardino delle vergini suicide, 
				datato 1999; Lost in Translation, nel 2003, per il 
				quale ha vinto il premio Oscar per la miglior 
				sceneggiatura originale, e Marie Antoinette nel 
				2006.
 
 Nel 2010, poi, l’approdo alla 67ma Mostra internazionale del 
				cinema di Venezia, dove ha presentato il film 
				Somewhere, che si è aggiudicato il Leone d'Oro.
 
 Da qui la sua grande ascesa, contornata anche dalla 
				direzione di uno spot, nel 2012, per la nuova fragranza 
				femminile Miss Dior Eau de Toilette con Natalie 
				Portman.
 
 Ad oggi, il panorama cinematografico internazionale può 
				annoverare la sua ultima fatica da regista, presentata in 
				Italia alcune settimane fa: un film molto interessante e ricco 
				di significato, Bling Ring; una pellicola dove 
				viene messa in luce la vita di alcuni adolescenti di Los 
				Angeles, il cui obiettivo è quello di rubare oggetti 
				inestimabili. Le vittime sono molte star, tra cui 
				Miranda Kerr, Paris Hilton, Lindsay Lohan e 
				Orlando Bloom; la storia, ispirata a fatti realmente 
				accaduti, ci trascina in un macrocosmo reale che solo con la 
				sua maestria Sofia Coppola ha saputo raccontare con 
				semplicità e grande professionalità.
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