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Telegiornaliste anno IX N. 29 (373) del 9 settembre 2013
 
	
		
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			| TGISTE A 
Saxa Rubra con Sonia Sarno 
di Giuseppe Bosso 
 Riprendiamo il nostro cammino dopo la pausa estiva con un incontro davvero 
speciale. A Saxa Rubra, tra i padiglioni degli studi Rai, ci aspetta
Sonia Sarno, volto ormai 
storico del Tg1, che da ormai un paio di mesi conduce le prime edizioni del 
mattino. Seguita e apprezzata dai lettori di Telegiornaliste per il suo garbo e 
il suo stile, Sonia è sempre molto ben disposta nei nostri confronti, a maggior 
ragione a tavola davanti a un piatto di pasta dopo una mattinata impegnativa.
 
 Il bello e il brutto di condurre le prime edizioni del Tg1 della giornata?
 «È un’esperienza molto bella che mi dà solo aspetti positivi. A parte, forse, la 
sveglia alle 4: la prima edizione, infatti, va in onda alle 6.30 e per 
prepararsi bisogna essere in redazione alle 5 del mattino».
 
 Ma ti senti più inviata o conduttrice?
 «Tutte e due, anche se sono ruoli che comportano difficoltà diverse. Da inviata 
una grande sfida è riuscire a trasmettere in Italia ritrovandosi, come molto 
spesso capita, dall’altra parte del mondo. Bisogna fare servizi per tutte le 
edizioni del Tg1, con fusi orari micidiali e ciò significa che, a volte, dormi 
pochissime ore per niente. Da conduttrice devi imparare ad avere nervi ancor più 
saldi, per far fronte a qualsiasi imprevisto della diretta; e possono essere 
tanti. Con un dettaglio di non poco conto, e cioè che le edizioni del Tg1, la 
mattina, sono sette, una ogni trenta minuti fino alle 11. Non è una cosa da 
poco».
 
 Notiamo che sei una delle poche anchorwoman del Tg1 che sorridono in chiusura 
di edizione: scelta tua o qualcuno te l’ha chiesto?
 «Mi viene spontaneo. Sorridere al prossimo è importante, sempre e ancor di più 
la mattina presto, quando inizia la giornata».
 
 Lavorando nella redazione 'politica' e quindi essendo costantemente in 
rapporto con il potere ti è mai capitato di essere criticata per un 
atteggiamento, diciamo, 'morbido' nelle interviste?
 «Le critiche sono sempre accettate, basta che non siano gratuite e fondate sulla 
assoluta mancanza di conoscenza dei fatti».
 
 Ritieni che i giornalisti italiani tendano ad essere piuttosto remissivi 
verso i politici?
 «Non credo affatto che sia così e l’autorevolezza di tanti colleghi lo 
dimostra».
 
 Interagendo con i tuoi fan quali sono le osservazioni che più ti hanno 
colpito?
 «Mi colpisce il fatto che molte persone mi seguano con così tanto affetto e 
attenzione; mi viene da pensare: ma merito tutto questo?».
 
 Sono 
passati ormai più di dieci anni dalla scomparsa di due persone per te molto 
importanti: Daniele Vimercati e Indro Montanelli: cosa ti hanno lasciato?
 «Ho lavorato e lavoro con altre persone che mi hanno dato e mi danno tanto. Ma 
Indro e Daniele mi hanno formato, quando ero molto giovane, agli inizi della 
professione. Lavorare con Montanelli - nel 1995, a La Voce, il quotidiano 
fondato dal giornalista toscano dopo aver lasciato Il Giornale, ndr - è 
stato un privilegio; Montanelli ha sempre sottolineato l’importanza dell’umiltà 
e mi ricordo che si faceva sempre rileggere i pezzi da qualche collega prima di 
mandarli in stampa; nonostante fosse già molto anziano allora, non aveva perso 
l’energia e lo spirito che lo avevano sempre distinto. Daniele, mio compagno di 
vita, mi ha assistito durante le mie prime esperienze in televisione, nel 
passaggio dalla carta stampata. Ha fatto in tempo a insegnarmi moltissimo ed è 
stato lui ad avvicinarmi al giornalismo politico, da cronista incallita quale 
ero prima».
 
 Come accadde?
 «Daniele doveva venire a Roma il 29 maggio del 2001, per lavoro, per seguire 
l’insediamento dei presidenti delle Camere, dato che si erano appena svolte le 
elezioni politiche; vivevamo a Milano, mi chiese di accompagnarlo, cosi avremmo 
festeggiato a Roma il mio compleanno che, guarda caso, è proprio il 29 maggio. 
Beh, arrivati a Roma mi dice: già che ci sei, vieni con me a Montecitorio; 
procurati un cameraman e fai un po’ di interviste ai parlamentari. Cosi stiamo 
insieme tutto il giorno… un piccolo ‘tranello’ - Daniele ci teneva molto che 
seguissi la politica - che per me rappresentò la svolta: Roma è diventata la 
città dove abito e la politica il mio campo d’azione».
 
 Tra dieci anni sarai….
 «Spero di diventare una persona con un percorso spirituale completo. Mi auguro 
che le difficoltà e i dolori vissuti mi aiutino ad acquisire sempre più saggezza 
e serenità; mi piacerebbe essere circondata da animali, salvare cani e gatti 
abbandonati. Ma il sogno più grande è avere un bimbo in affidamento».
 
 Avrai notato che da un po’di tempo sul nostro forum c’è una sezione dedicata 
ai
‘tagli virtuali delle tgiste’, di cui sei una delle ‘vittime’ più assidue: 
non è che potresti trarre qualche ispirazione dalla fantasia dei nostri lettori?
 «Sì - scoppia a ridere, ndr - ho notato un paio di foto con i capelli corti, 
molto divertenti e originali. Ma, non me ne vogliano i ragazzi, fin da bambina 
ho sempre amato i capelli lunghi, perciò, per favore, non me li toccate!».
 
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			| NONSOLOMODA Il 
				lato scuro della moda 
				di Michela Tortolano 
 Via i merletti, le trasparenze, l’eccesso e il superfluo; out 
				anche il colore.
 
 La prossima stagione è un elogio all’essenzialità. Le linee 
				dritte, un po’ accennate e sempre all’insegna della finezza non 
				oltrepassano i limiti del contenimento.
 
 Il bianco e nero, abbinamento che troneggia nelle 
				creazioni, completa con rigore lo stile essenziale: i contrasti 
				di questi due colori opposti modellano la silhouette non con 
				poca fantasia; i tagli vanno da lunghi a corti, anche se 
				non troppo, e le linee del corpo sono comunque sempre esaltate, 
				seppur con sobrietà. Ecco spuntare dal total black la 
				candidezza di polsini, cuciture e fasce in vita.
 
 Lo stile quasi monasteriale e tagliato su linee semplici rimanda 
				all’eleganza “inventata” il secolo scorso da Chanel.
 
 Ma l’accostamento bianconero non lascia completo spazio 
				all’asprezza, tutt’altro: le linee sono sinuose e morbide, 
				esaltate dai tessuti, tutti rigorosamente leggeri.
 
 Alexander McQueen si sfoga in passerella con fantasie 
				elisabettiane su lucidi velluti; Acne spezza il nero con 
				calzature bianche e gioca con accostamenti di seta e cotone.
 
 E le scarpe? Anche qui valgono gli opposti: o con tacchi 
				altissimi o modelli ultraflat purché si rispetti l’accostamento.
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			| TUTTO TV Una 
				voce, una storia 
				di Silvia Roberto 
 Ricordate l’esplosiva voce e risata di Eddie Murphy? O 
				ancora meglio, vi siete mai domandati di chi è l’inimitabile 
				ed inconfondibile voce di Homer Simpson, sitcom animata che 
				ci accompagna oramai da anni?
 
 Stiamo parlando di
				
				Tonino Accolla grande doppiatore, attore, direttore di 
				doppiaggio - da Titanic a Bravehearth - 
				dialoghista oltre che regista teatrale.
 
 Un maestro che grazie alla sua voce ci ha saputo tenere 
				incollati davanti a film di stampo internazionale, purtroppo 
				morto lo scorso 14 luglio presso il Policlinico Gemelli di Roma 
				a seguito di una lunga malattia che si trascinava da 
				tanto tempo.
 
 Siracusano, classe 1949, può essere davvero definito il 
				simbolo della felicità e del sorriso: eh sì, perché nella sua 
				lunga e meravigliosa carriera ha doppiato veri e propri big 
				internazionali, tra i quali - e solo per citarne alcuni - 
				Tom Hanks, Mickey Rourke, Kenneth Branagh, Billy Cristal e 
				moltissimi altri.
 
 Ma come dicevamo all'inizio, inconfondibili rimarranno i 
				doppiaggi dell’attore comico afroamericano, Eddie Murphy, 
				forse pure più esilarante della versione originale, che ha 
				seguito fin dagli esordi negli anni'80 - 48 Ore, Una 
				poltrona per due, Beverly Hills Cop - spaziando poi 
				dal bellissimo, con un finale da favola, Il principe cerca 
				moglie del 1988 al divertentissimo Il professore matto, 
				fino all'ultimo Immagina che del 2009.
 
 Il cordone con l'attore si interromperà però con 
				il film Tower Heist - colpo ad alto livello del 2011: 
				Sandro Acerbo, storico doppiatore di Brad Pitt, sostituirà 
				Accolla e Murphy perderà in Italia il suo marchio di 
				fabbrica, la sua coinvolgente risata.
 
 Altra star di Hollywood che deve parte del suo successo 
				dalle nostre parti al doppiaggio di Accolla è senza dubbio 
				Jim Carrey, dalla saga di Ace Ventura a Bruce Nolan, 
				protagonista del film Una settimana da Dio che riceve in 
				dono per alcuni giorni dei poteri celesti.
 
 Così come Tom Hanks, che nei suoi primi film - Splash, 
				una sirena a Manhattan; Casa, dolce casa?; La 
				retata; Turner e il casinaro - era stato doppiato da 
				Accolla.
 
 Ma innegabilmente la perdita maggiore la subisce la 
				sitcom più amata dagli italiani, grandi e piccini: I 
				Simpson, cui il doppiatore ha dato la voce al 
				capofamiglia Homer per ben 23 stagioni.
 
 A questo punto sorge spontanea una domanda: chi prenderà il 
				suo posto? La simpatia di un personaggio, soprattutto 
				quando è targato America, si sa, si deve anche alla voce e alla 
				bravura del doppiatore che deve farcelo amare. Qualche nome 
				spunta già, come lo stesso Acerbo, Renato Cecchetto - 
				voce italiana di Shrek - o il sempre più in spolvero 
				Francesco Pannofino.
 
 Ma sono ancora solo dei nomi: portare avanti l’eredità 
				del grande Accolla non è cosa semplice, anche perché oramai ci 
				siamo abituati a collegare l'irriverente Homer alla voce di 
				Accolla, che noi vogliamo ringraziare per averci fatto 
				amare e seguire personaggi che nella loro lingua originale 
				probabilmente non avremmo apprezzato a dovere.
 
 Grazie Tonino, grazie per le splendide emozioni che ci 
				hai saputo donare; grazie per la tua splendida voce, che non 
				tornerà più ma che potremmo rivivere, riguardando grandi film o 
				cartoni da te doppiati!
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			| PINK NEWS Il 
				lato rosa dei profughi di Maria Cristina Saullo 
 Da settimane, ormai, assistiamo attoniti a sbarchi di 
				immigrati sulle coste italiane: decine e decine di persone,
				ammassate su barconi di fortuna che attraversano il canale di 
				Sicilia per scappare dalla guerra.
 
 Uomini, donne, bambini indifesi con gli occhi pieni di 
				speranza; ovviamente, teatro degli avvenimenti non è solo il 
				nostro Paese ma anche i territori medio orientali, confinanti 
				con le aree in conflitto; sono tante le persone, assiepate nei 
				campi profughi, in attesa di poter far rientro nella loro terra.
 
 Un’immagine, però, colpisce l’occhio del comunicatore più 
				attento: si tratta di uno scatto nitido, dove le protagoniste 
				sono le donne; le vedi all’esterno dell’accampamento, 
				circondato dal deserto, con indosso il loro vestito 
				tradizionale, sedute su un terrapieno o su una seggiola di 
				fortuna.
 
 Insieme alle più giovani, scorgi le anziane, 
				intente a domare il fuoco, a cucinare o a 
				stendere i pochi indumenti che sono riuscite a portar via; 
				sullo sfondo, il bianco delle tende dell’Uncr che fanno 
				comprendere quanto la tragedia sia immane e come sia arrivato 
				il momento che si ponga fine alle atrocità e scoppi la pace.
 
 Da quel lembo di terra si passa al mare: quello 
				specchio d’acqua, teatro di scie nitide, provocate da quei 
				barconi che lo attraversano. Navi di fortuna con su decine e 
				decine di esseri umani.
 
 E anche qui, le protagoniste le donne, figlie dei tempi; 
				figlie fragili all’apparenza, ma con una grande forza. 
				Le noti subito con le loro tuniche, i foulard 
				incollati al capo, con quel viso segnato dal tempo e dalla paura; 
				le vedi aggrappate a passamani di fortuna, con in braccio i 
				loro piccoli.
 
 Alcune di esse hanno dato alla luce i propri bimbi durante la 
				traversata. Li tengono stretti al proprio grembo come per 
				proteggerli, per farli sentire al sicuro.
 
 Sono le prime a toccare terra, a baciarla come l’el 
				dorado. Quel luogo leggendario, situato al di là del mondo 
				conosciuto, dove i bisogni materiali sono appagati e gli esseri 
				umani vivono in pace tra loro, godendo della vita. Spesso viene 
				associato al paradiso terrestre o all'eden situato agli 
				antipodi.
 
 Tutte, nessuna esclusa, vengono assistite da quell’esercito di
				volontari ai quali si aggrappano in un abbraccio avvolgente 
				pieno di speranza. Nei loro occhi scuri e grandi, a volte 
				celati da un velo, si scruta tutto l’orrore che hanno 
				vissuto.
 
 Bombe, distruzione, carestia, soprusi: ma, allo stesso 
				tempo, si percepisce tutta la forza che hanno avuto per 
				scappare da quell’inferno. Un inferno di fuoco e fiamme che 
				avvolge tutto, che sopprime i sogni dei loro bimbi, dei loro 
				mariti.
 
 È questo il senso proprio dell’esistenza di una donna che 
				racchiude in se quello spirito di beltà, proprio di chi ha 
				nell’animo l’ardore di sconfiggere il male per raggiungere la 
				luce che splende in fondo al tunnel. Il loro coraggio sprona 
				ad andare avanti.
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			| DONNE Simonetta 
				Santamaria, fantasy made in Naples 
				di Giuseppe Bosso 
 Vincitrice del Premio Lovecraft nel 2005 e del 
				Fantastique nell’ambito del Fantasy Horror Award nel 
				2010, la napoletana
				
				Simonetta Santamaria è attualmente nelle librerie con il suo 
				secondo romanzo, Io vi vedo, edito da Tre60, il nuovo 
				marchio GeMs.
 
 Di cosa parla il tuo libro?
 «È la storia di Maurizio Campobasso, poliziotto integerrimo a 
				capo di una squadra specializzata che, a causa di una serie di 
				eventi devastanti, dalla morte di una figlia a un’imboscata in 
				cui perde alcuni uomini e lui stesso ne esce menomato, si 
				trasforma in uno spietato assassino pur riconoscendogli una 
				profonda umanità. È una sorta di Jekyll e Hyde tutt’altro che 
				insolito nella realtà: basta guardare un telegiornale».
 
 Ti hanno anche paragonata a Stephen King, definendoti una 
				delle signore della suspense napoletana: cosa ti ha portato a 
				intraprendere questo percorso letterario?
 «Sono sempre stata una divoratrice di libri; fin da piccola 
				amavo le storie di avventura, i classici di Salgari, Verne, 
				London e i racconti di Poe, e non ho avuto dubbi nel capire 
				quello che le mie corde avrebbero suonato meglio. Le mie sono 
				soprattutto storie di suspense, di tensione; il paragone con 
				King lo ha fatto – bontà sua – il Corriere del Mezzogiorno: 
				da prendere con le pinze, ovviamente».
 
 C’è anche l’horror nella tua pubblicistica, un percorso che 
				hai cavalcato in tempi non sospetti, ben prima del boom di 
				Twilight.
 «Assolutamente. E mi sono dovuta misurare da subito con un 
				ambiente “di proprietà” maschile, ma faceva parte del gioco e io 
				lo sapevo bene. E comunque è bene distinguere l’horror, la 
				letteratura fantastica cui era dedicato il Premio Lovecraft, 
				dallo splatter di cui è espressione quel filone cinematografico 
				che ha per certi versi mistificato il genere. Ho scritto due 
				saggi in materia, uno sui licantropi e l’altro sui vampiri, 
				entrambi editi da Gremese, proprio perché la letteratura 
				mainstream e il cinema hanno creato una gran confusione, specie 
				nei ragazzi che ne ignorano il mito, le vere radici».
 
 Al di là di questo, i vampiri possono essere una metafora che 
				rappresenta l’emarginazione, il doversi nascondere?
 «Senza dubbio. Ma più dei vampiri, secondo me sono i licantropi 
				ad incarnare meglio il mito del “diverso” nel senso drammatico 
				del termine. Il vampiro, il Dracula, lo immaginiamo sempre in 
				abiti nobiliari, ben vestito, circondato da ricchezza e belle 
				donne. Cosa ben diversa dal licantropo, il selvaggio che vive 
				nella natura ai margini del cosiddetto mondo civilizzato».
 
 Il delitto e il mistero sono più donna o uomo?
 «Non credo sia una questione di sesso; dipende soprattutto 
				dall’abilità di riuscire a trasmettere su carta le proprie 
				emozioni in maniera coinvolgente per chi legge. Anche se, a 
				farmici pesare, forse il mistero è un po’ più donna…»
 
 Con un altro noto scrittore napoletano,
				
				Maurizio Ponticello, sei la conduttrice di un evento 
				culturale, 
				
				INpastallautore: di cosa si tratta?
 «Si tratta dell’unica rassegna letteraria napoletana con un 
				cartellone che va da ottobre a giugno: con Maurizio ne abbiamo 
				curato ben tre edizioni. La formula è più da talk show perché si 
				risolve in un vero e proprio filo diretto tra i lettori e lo 
				scrittore che poi resta a cena con loro: In Pasto e In Pasta».
 
 Occasioni utili per riavvicinare le persone alla lettura?
 «Certo, anche perché, non abbiamo coinvolto solo nomi di grido 
				ma dato spazio soprattutto alla buona lettura».
 
 Come vivono i tuoi familiari la tua attività letteraria?
 «Con sostegno e collaborazione. Mi seguono e mi aiutano, a 
				cominciare da mio marito chirurgo che è il mio ‘consulente 
				tecnico’; è importante fare attenzione a questo aspetto, il 
				lettore di thriller è attento e molto esigente e non perdona 
				svarioni, neppure anatomici. Lo stesso vale per i miei due figli 
				che sono abituati a una mamma che, se presa dal fuoco sacro, si 
				dimentica di preparare la cena, di mangiare, del tempo che 
				scorre: siamo un team perfetto».
 
 Sei riuscita a dare un profilo medio del tuo lettore?
 «No, indistintamente posso dire di aver trovato lettori e 
				lettrici di ogni età; non c’è un lettore medio, ma un lettore 
				curioso che si interessa e ha voglia di andare alla scoperta di 
				nuove storie e nuovi autori di casa nostra».
 
 Quale sarà il tuo prossimo passo?
 «La pubblicazione di un altro romanzo, ma il quando spetta 
				all’editore».
 
 Hai mai pensato di scrivere una storia su di te?
 «Mai, ma sarebbe una storia nera. Dico sempre che non mi prendo 
				troppo sul serio o sarei una serial killer – ride, ndr – perché 
				è così che va gestito questo mestiere; sdrammatizzare aiuta ad 
				affrontare la difficile quotidianità di un lavoro in cui è una 
				grande conquista riuscire a ottenere una fetta di lettori, a 
				maggior ragione per una donna in un genere che non è 
				storicamente suo».
 
 Come donna e come scrittrice sei…
 «Tenace. E testarda. Dura come la roccia».
 
 L’apprezzamento e la critica che ti hanno colpito.
 «Fin dalle prime pagine, un calcio nelle palle fa meno male. 
				Fantastico: uno dei migliori apprezzamenti ricevuti 
				soprattutto perché a me piace scrivere duro e diretto, e il 
				fatto che si senta mi rende felice. Le critiche… finora uno solo 
				ha espresso perplessità sull’originalità della trama che trapela 
				dalla IV di copertina, ma siccome non s’è neppure letto il 
				romanzo, la sua critica resta inutile e rancida come aria 
				fritta. I presunti “scrittori” che si atteggiano a critici 
				letterari sono i detrattori peggiori, ve lo garantisco: quello 
				che per me conta è il parere dei lettori».
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