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Telegiornaliste anno IX N. 18 (362) del 6 maggio 2013
 
	
		
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			| TGISTE Sabrina 
		Pieragostini: la mia avventura a Studio Aperto cominciò con uno stage, e 
		poi... 
		di Giuseppe Bosso 
 Professionista dal 1996, laureata in Lettere Classiche, conduttrice
		di 
		
		Studio Aperto, intervistiamo
		Sabrina Pieragostini.
 
 Com'è arrivata a Studio Aperto?
 «Quasi per caso; era il 1994 e frequentavo il corso di giornalismo 
		presso l’IFG “De Martino” dell’Ordine della Lombardia; ogni 
		studente-praticante doveva dare una propria preferenza per lo stage 
		estivo da svolgere in una testata nazionale, televisiva o di stampa. Io 
		sognavo da tempo di diventare una giornalista sportiva, ma c’era un solo 
		posto a Studio Sport; fu più veloce nell’opzionarlo una mia 
		compagna ed amica. L’unico posto in Mediaset che restava libero era 
		appunto a Studio Aperto; quell’estate lavorai a titolo gratuito 
		per tre mesi in questa redazione; mi piacque l’ambiente, il tipo di 
		lavoro, le professionalità che conobbi. Così, quando ho dovuto decidere 
		dove svolgere il secondo stage, quello invernale, scelsi senza 
		esitazione di tornare a Studio Aperto, e fu a mia fortuna, perché 
		nel maggio del 1995 l’allora direttore Paolo Liguori pensò a me per una 
		sostituzione maternità che mi ha permesso di iniziare a lavorare in modo 
		effettivo. Quando poi mancavano solo pochi giorni alla scadenza del mio 
		contratto a termine, un’altra straordinaria fortuna: una collega si 
		licenziò all’improvviso e il direttore volle assumere me; da allora sono 
		nell’organico di Studio Aperto. Per la cronaca: l’amica che aveva 
		scelto, prima di me, Studio Sport, è 
		Beatrice Ghezzi, che aveva davvero visto bene».
 
 Ricorda la sua prima conduzione?
 ««La primissima no, troppo lontana! Posso dire che fu in occasione di uno 
		sciopero, molti anni fa, ma davvero non ricordo quando, se non che si 
		trattava di un’edizione breve, di quelle lette tutte di un fiato e senza 
		servizi. La prima, vera conduzione è stata nel dicembre del 2007, 
		un’assoluta sorpresa: il direttore era Giorgio Mulè; nella riunione del 
		pomeriggio, quel giorno Benedetta Parodi 
		arrivò mezza afona. E lui, voltandosi verso di me, mi disse: allora 
		conduci tu. Credevo scherzasse… e invece era tutto vero! Senza neanche 
		aver fatto una prova reale, quel pomeriggio mi ritrovai in studio a 
		condurre l’edizione delle 18.30, una botta di adrenalina; quella sera 
		stessa Mulè mi chiamò per dirmi che dal gennaio successivo sarai entrata 
		stabilmente nei turni di conduzione; e così è stato».
 
 Ha curato delle inchieste sulle forme di vita aliena e condotto Il 
		tredicesimo mistero, due esperienze sicuramente diverse ma anche 
		consimili: cosa ha cercato di trasmettere e cosa l'ha maggiormente 
		appassionata?
 «Il mio approccio quando affronto questi argomenti è sempre e comunque 
		giornalistico: cerco il più possibile di lasciar parlare i protagonisti 
		(che possono essere i testimoni di strane esperienze oppure gli autori 
		di ricerche alternative) limitando al massimo le mie opinioni personali; 
		insomma, se il signor X dice di aver visto gli alieni, io lo ascolto e 
		racconto la sua storia, indipendentemente dal fatto che la ritenga vera 
		o falsa, lasciando che a giudicare sia il pubblico. Indubbiamente sono 
		tematiche affascinanti, anche se dai risvolti spesso incredibili. Ma 
		anche il telefono cellulare o il laser ad eccimeri, solo due secoli fa, 
		sarebbero sembrati tecnologie impossibili ed inimmaginabili. Forse, tra 
		qualche anno, quello che ora ci appare assurdo ed improponibile sarà una 
		conclamata realtà. In quest’ottica, cerco di mantenere la mente e gli 
		occhi sempre aperti».
 
 Dalla Sardegna a Milano, quali sono le difficoltà che ha incontrato 
		nell'adattarsi alla vita e al giornalismo della grande Metropoli?
 «Finalmente ho modo di spiegare l’equivoco che mi accompagna da sempre: 
		non sono sarda, sono casualmente nata ad Alghero perché mio padre, 
		marchigiano, lavorava temporaneamente lì. Ho vissuto in Sardegna solo 
		per i primi mesi della mia vita, poi con la famiglia mi sono trasferita 
		in Oltrepò Pavese, dove sono sempre vissuta e dove sono cresciuta. Nulla 
		contro la Sardegna, ci mancherebbe: definirla terra meravigliosa è dire 
		poco; ma non ho lì le mie radici. Dalla provincia lombarda alla 
		metropoli milanese il salto c’è stato, ma non particolarmente 
		traumatico, considerando anche le distanze ridotte: la mia famiglia mi è 
		sempre rimasta vicina».
 
 Studio Aperto viene spesso criticato per lo spazio che date 
		alla cronaca e al costume, secondo molti eccessivo. Pensa sia davvero 
		così?
 «La cronaca è giornalismo, basti vedere quante pagine occupino la 
		cronaca nera e bianca sulla carta stampata o sulla rete. Dare ampio 
		spazio ai fatti che avvengono in Italia o nel mondo è quello che un 
		quotidiano e un telegiornale devono fare. Per quanto riguarda i servizi 
		di costume, la critica poteva valere forse qualche anno fa, non ora. 
		Nell’edizione delle 12.25, ad esempio, ci sono al massimo 2 servizi 
		“leggeri” su mezz’ora di messa in onda. Ce ne sono un po’ di più alle 
		18.30, ma solo perché il pubblico della sera è molto giovane, e 
		innegabilmente preferisce sentire parlare di Justin Bieber piuttosto che 
		della legge di bilancio di Obama. Senza dimenticare, però, un indubbio 
		merito di Studio Aperto, quello di aver svecchiato il linguaggio del tg, 
		di averlo reso più colloquiale e meno paludato, con tanti collegamenti 
		in diretta ed aggiornamenti continui. Poi, su questa strada, tanti altri 
		telegiornali ci hanno seguito».
 
 Qual è il suo sogno giornalistico?
 «Sarei già felice di poter continuare a fare il mio lavoro con passione, 
		trovando ogni giorno uno stimolo nuovo, un nuovo interesse. Se però 
		posso sognare senza limiti, mi piacerebbe poter condurre, un giorno, un 
		programma di approfondimento tutto mio, magari proprio su quei temi di 
		confine, tra realtà e fantasia».
 
 C'è tempo per gli affetti con un lavoro impegnativo come il suo?
 «Certo! E nonostante l’impegno in quantità e qualità che il mio lavoro 
		mi richiede sono sempre al centro della mia vita».
 
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			| NONSOLOMODA Il 
				clic è anche chic di Michela Tortolano 
 Un po' per la crisi, un po' perché è trend, un po' perché questa 
				è l’era degli acquisti a distanza, ecco che il social 
				shopping ha ormai preso spazio nel lifestyle di ognuno.
 
 Che cos’è esattamente? Si tratta, nella pratica, dei famosi 
				coupon acquistabili a costi scontatissimi se si raggiunge un 
				numero minimo di vendite stabilite dall’erogatore. A quanti è 
				capitato che non venisse accettato l’acquisto per numero minimo 
				non raggiunto? Probabilmente nessuno.
 
 Ebbene, questo sistema di invenzione statunitense 
				permette ormai di acquistare ambiti pacchetti benessere, 
				trattamenti coiffeur, viaggi, giretti alla guida della macchina 
				dei sogni, articoli per la bellezza e aperitivi nel locale più 
				in della città: una risposta veramente vasta alle molteplici 
				“necessità” di cui siamo affetti.
 
 Ora tutti gli appassionati di prodotti cool possono avere quello 
				che “una volta” poteva essere fruibile solo ad alcuni. E non 
				solo, perché l’accessibilità ha reso anche i meno trend più 
				vogliosi di osare e desiderare.
 
 Oltre al social shopping la rete offre settori specifici in cui 
				investire somme ridotte anche del 90% per possedere 
				finalmente la borsetta griffata oppure… la si può affittare per 
				una settimana o più!
 È questa la soluzione proposta da 
				MyLuxury.biz 
				che, con una dettagliata descrizione dei prodotti in vetrina, 
				offre diversi modelli, anche maschili, ad ottimi prezzi con 
				tanto di assistenza immediata tramite chat.
 
 E la tutela del consumatore virtuale? Anche per questo 
				fruitore esistono organizzazioni che intervengono, sempre 
				rigorosamente on line, per risolvere controversie tra 
				commerciante e cliente geograficamente lontani: Alternative 
				Dispute Resolution (ADR) è un organo unificato a livello 
				europeo che interviene (a tariffe low cost ovviamente) a 
				sostegno del compratore nel caso ad esempio il venditore si 
				rifiuti di riparare o rimborsare un prodotto o un servizio.
 
 E lo scopo della tutela dei diritti web è quello di mantenere 
				alto il mercato on line e non scoraggiare gli acquisti.
 
 Nel 2011 il Parlamento Europeo ed il Consiglio dell’Unione 
				Europea hanno dettagliatamente espresso in una direttiva i 
				diritti del consumatore… dunque divertiamoci pure, sicuri e 
				tutelati, con gli acquisti a colpi di clic.
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			| TUTTO TV Su 
				Raiuno è di nuovo Carosello 
				di Giuseppe Bosso 
 Per chi ha dai quarant'anni in su sarà un tuffo nel passato; 
				per i più giovani, cresciuti nell'epoca degli spot a puntate, 
				delle super star e della tecnologia, un modo per scoprire i 
				personaggi che hanno segnato l'infanzia di genitori e/o nonni.
 
 A 36 anni dall'ultima puntata, datata Capodanno 1977, Raiuno 
				riapre i battenti di Carosello, la striscia di 
				spot pubblicitari che a partire dal 1957 per due decenni ha 
				scandito le serate dei più piccoli, fino al momento di andare 
				a letto. Proprio altri tempi, altra televisione, altre 
				abitudini... e altra Italia ovviamente.
 
 Carosello Reloaded, questo il titolo della 
				striscia che a partire dal 6 maggio e fino a luglio scandirà la 
				prima serata di Raiuno; durerà meno dell'illustre predecessore, 
				precisamente tre mini-sketch della durata di 70 secondi, 
				e, nell'intento di rilanciare l'arte della pubblicità 
				senza ricorrere alle appariscenze dei giorni nostri, si affiderà 
				ai personaggi che hanno segnato quel momento: e così riecco 
				Jo Condor, Carmencita e Caballero, Angelino...
 
 Altri tempi, dicevamo; era l'Italia del boom economico, 
				che man mano iniziava a scoprire quella scatola piena di 
				immagini come segno di un'epoca prospera e felice. Guardando 
				a quel periodo, e pensando alla situazione attuale, sarà magari 
				un modo per riscoprire quei momenti e magari acquisire maggiore
				ottimismo per il tempo che verrà.
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			| PINK NEWS Integrazione 
				nelle istituzioni 
				tra opportunità e problematiche di 
			Linda Talato 
 Ha destato molte reazioni positive, ma anche qualche 
				polemica, la nomina di Cecile Kyenge a ministro 
				della cooperazione internazionale e dell'integrazione, 
				primo ministro di colore nell'esecutivo della storia italiana; 
				anche se lei stessa si è affrettata a definirsi 'nera'.
 
 48enne, medico oculistica e originaria della Repubblica 
				Democratica del Congo, la Kyenge è stata eletta tra le fila del 
				Partito Democratico, nella circoscrizione Emilia Romagna e 
				vanta un notevole trascorso nell'ambito delle azioni volte a 
				favorire l'integrazione e le politiche sociali legate 
				all'immigrazione e ai diritti degli stranieri.
 
 La nomina è stata accolta da molti come un segnale positivo, 
				che denota una volontà di cambiamento ed un passo avanti nel 
				modo in cui viene concepita l'integrazione all'interno delle 
				istituzioni.
 
 Tuttavia la Kyenge è rimasta, purtroppo, vittima anche di 
				qualche attacco di tipo razzista, perpetrato attraverso 
				la rete ma anche tramite recenti scritte apparse sui muri di un 
				istituto scolastico.
 
 Si riapre un dibattito, presente già da tempo nel nostro 
				Paese che, da una parte, chiede maggiori tutele, diritti ed 
				integrazione per chi cerca di cominciare una nuova vita in 
				Italia; dall'altra sottolinea la necessità di far procedere di 
				pari passo integrazione e legalità, favorendo una 
				convivenza serena e civile tra culture e tradizioni che, in 
				alcuni casi, possono essere anche molto diverse tra loro.
 
 Comunque è un primo passo, magari simbolico ma 
				significativo, e non possiamo che augurarci che Cecile Kyenge 
				rappresenti l'inizio di un nuovo corso.
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Donne |  
			| DONNE Addio 
				ad Anna Proclemer, regina del teatro 
				di Ludovica Virgili 
 La grande attrice avrebbe compiuto 90 anni il 30 maggio 
				prossimo, ma Anna Proclemer se ne è andata nella notte 
				del 24 aprile nella sua casa romana.
 
 Nata a Trento, debuttò nel 1943 al Teatro dell’Università di 
				Roma, con Nostra Dea di Massimo Bontempelli; da allora 
				iniziò una lunga carriera sui palcoscenici, dove recita 
				con artisti come Anton Giulio Bragaglia, Vittorio Gassman e 
				Luigi Squarzina; poi al Teatro di Milano diretta da 
				Giorgio Strehler.
 
 La Proclemer fu protagonista anche sul grande schermo con 
				circa 15 film, nonché come doppiatrice di dive del 
				calibro di Greta Garbo e Anne Bancroft.
 
 Negli ultimi anni era stata voluta fortemente da Ferzan 
				Ozpetek per Magnifica presenza, uscito l’anno scorso, 
				e da Vincenzo Salemme nel 2008 in No problem.
 
 Anna racconta sul suo 				sito, 
				di una specie di “vocazione” quella che le è accaduta alla 
				tenera età di 12 anni: «avevo assistito ad una recita 
				scolastica e alla fine ero scappata via con 'l'animo in tumulto' 
				piangendo lungo tutta la strada che mi riportava a casa. Era 
				stata una illuminazione, un fulmine, uno choc irrazionale e 
				sconvolgente. Il presagio di una vocazione».
 
 SSposa nel 1946 lo scrittore Vitaliano Brancati, dal quale ebbe 
				una figlia Antonia; ma i due si separeranno nel 1954. Quindi, 
				due anni dopo, conobbe Giorgio Albertazzi, con il quale 
				diede vita ad un sodalizio artistico e sentimentale, con 
				sceneggiati televisivi di riduzioni di spettacoli teatrali.
 
 Per i suoi grandi meriti artistici la Proclemer viene insignita, 
				nel 2011, del premio Alabarda d’oro alla carriera per il 
				teatro.
 
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