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Telegiornaliste anno IX N. 8 (352) del 25 febbraio 2013
 
	
		
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			| TGISTE Marianna 
Pagliarin: la mia vita tra calcio, vela e... scarpe! di 
			Giuseppe Bosso 
 Attualmente volto di Cafè 24 
dove conduce il programma Padova Sport con Stefano Viafora e Sail 
Planet, dedicata alla vela, nonché speaker di Radio Italia Anni 60 in 
occasione delle partite del
Calcio Padova, 
pubblicista dal 2010, intervistiamo 
			
Marianna Pagliarin.
 
 Hai cominciato a scrivere giovanissima: è sempre stato il tuo sogno fare la 
giornalista?
 «Sì! Fin da piccola mi dicevano che avevo una bella parlantina, e ho sempre 
amato scrivere. Alle scuole medie avevo già le idee chiare! Così ho inseguito il 
mio sogno».
 
 Molte tue colleghe da noi intervistate ritengono che, malgrado i passi fatti 
in avanti, il giornalismo sportivo sia ancora fondamentalmente maschilista: è 
così anche per te?
 «Purtroppo è così. È difficile farsi spazio in quest'ambiente, soprattutto in 
quello del calcio. Molti uomini ancora non accettano che una donna possa essere 
competente in materia; eppure abbiamo esempi importanti come
Monica Vanali e Ilaria 
D'Amico, e come loro molte altre. Noi donne stiamo sgomitando anche in 
questo settore, ma ci vorrà ancora tempo, temo, prima di annullare il 
maschilismo che lo pervade».
 
 Ricordi la tua prima intervista?
 «Come no! Era il 7 novembre 2008: il Mattino di Padova era partner della 
campagna sul fair play Io rispetto il mio avversario, e il caporedattore 
mi mandò ad intervistare due giocatori del Padova che erano presenti all'evento, 
Falsini e Di Venanzio. Da quel giorno tra l'altro con Gianluca Falsini è 
iniziata una bella amicizia, ancora adesso ogni tanto ci sentiamo per fare due 
chiacchiere! Tifavo Padova fin da bambina, per me quel giorno è stato l'inizio 
di una meravigliosa avventura che prosegue tutt'oggi al fianco dei colori che ho 
nel cuore».
 
 Con la maglia del Padova ha esordito, prima di passare alla Juventus, Del 
Piero, che continua a fare grandi cose anche all’estero: secondo te non potrebbe 
chiudere la sua carriera con la maglia biancoscudata?
 «Negli ultimi due anni si è parlato di un suo possibile ritorno nella squadra 
che l'ha lanciato, ma è un'ipotesi davvero difficile da concretizzare, anche se 
sarebbe una grande dimostrazione di affetto e riconoscenza da parte sua».
 
 Conduci anche un programma sul mondo della vela: ti ci sei trovata per caso o 
per passione?
 «Direi per entrambi i motivi: da ragazzina ho fatto dei corsi di vela, amo molto 
il mare. Mio padre è un velista appassionato e mi ha coinvolta un po' nel suo 
mondo, facendomi conoscere importanti personaggi dell'ambiente, come Cino Ricci, 
che ho avuto il piacere di intervistare. Sail Planet è una trasmissione 
che ho voluto ideare per dare visibilità a questo sport ancora troppo ai margini 
nonostante le migliaia di persone in tutto il mondo che lo praticano».
 
 Quali sono, secondo te, i grandi mali del calcio, che vorresti eliminare?
 «Uno su tutti la tessera del tifoso, che ha annullato il tifo. Il calcio non è 
stare seduti sul divano davanti alla tv, ma vivere lo stadio con passione, cori, 
bandiere... e poi sarebbe bello vedere un calcio più pulito, senza scandali di 
scommesse e partite comprate. Chi paga il biglietto per seguire la propria 
squadra merita rispetto».
 
 Ti sta stretto l’ambito provinciale?
 «No, qui sto bene. Padova é una piazza importante, e anche molto esigente e 
difficile, che ti tempra per bene; seguire la squadra che amo anche per lavoro 
per me è il massimo. Poi ovviamente l'ambizione di arrivare in alto bisogna 
averla sempre, e spero che un giorno arrivi anche per me la grande occasione».
 
 Cosa faresti per la promozione in A del Padova?
 «Me l'hanno chiesto quando alla A siamo stati davvero vicini, ma anche allora 
non sapevo cosa rispondere. Non sono solita fare voti. Spero solo che la massima 
serie non resti un miraggio ancora troppo a lungo».
 
 Ti saresti aspettata, vedendolo giocare nel Padova, che El Shaarawy avrebbe 
fatto bene anche in serie A con il Milan?
 «Ne ero più che sicura. Ho conosciuto Stephan prima come amico e poi come 
calciatore, e avevo capito subito che si distingueva dagli altri anche per la 
testa. Non basta avere i piedi buoni, per questo si sta confermando il campione 
che ero sicura sarebbe diventato. Ha al fianco dei genitori eccezionali, sempre 
presenti; credo che anche questo faccia la differenza. È sempre stato molto 
umile, anche se magari adesso la notorietà un po' l'ha innalzato. Ma quando ci 
parlo mi accorgo di quanto sia rimasto un ragazzo normale. Fin dai primi calci 
in maglia biancoscudata, sono rimasta incantata dal suo modo di giocare, che 
definii di un altro pianeta. Sta confermando le aspettative e sono molto 
orgogliosa di lui».
 
 Tra tanti impegni c’è spazio per gli affetti?
 «Sì, lo spazio c'è sempre per chi si ama. La famiglia e le amicizie sono tutto 
nella vita. Lo sarebbe anche l'amore, se ci fosse; ma arriverà...».
 
 Sei molto seguita dai nostri lettori: cosa ti ha fatto piacere leggere sul 
nostro forum e cosa meno?
 «Non sapevo di essere così seguita e la cosa ovviamente mi fa molto piacere. 
Ogni tanto un'occhiata al
forum la do, e vedo che vengono caricate delle mie foto al lavoro. Il mese 
scorso ho letto tanti messaggi di auguri per il mio compleanno, e colgo 
l'occasione per ringraziare tutti».
 
 Recita la tua scheda che hai una grande passione per le scarpe: quali sono 
quelle che preferisci usare per le dirette?
 «Adoro lo shopping, soprattutto quando si tratta di scarpe; ne ho di ogni 
modello e colore, tanto che mi servirebbe una scarpiera alla Sex and The City! 
Indosso quasi sempre i tacchi, a maggior ragione in diretta sono 
imprescindibili; mi piace essere diversa in ogni puntata, tengo molto al look».
 
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			| NONSOLOMODA Il 
				giardino segreto di Giada Curti: abiti all'aroma di rosa
				di Chiara Cianniello 
 La moda è arte e l’arte non conosce limiti: è azzardo, rischio, 
				divertimento, lusus e spesso anche contestazione. Ce lo 
				insegna lo stilista anticonformista Paul Poiert col suo 
				stile eccentrico e stravagante, che negli anni sfarzosi della 
				Belle Époque fu il primo a contemplare la possibilità di 
				abolire il corsetto ed inventa la gonna-pantalone. Ce ne dà un 
				ulteriore prova Miss Mary Quant, che negli anni Sessanta 
				alla gonna leva un bel po’ di centimetri, dando vita alla 
				miniskirt, la sempiterna minigonna.
 
 Ma talvolta per essere al centro dell’attenzione, per 
				sorprendere e suscitare meraviglia basta davvero poco: un 
				piccolo dettaglio, un bijou sfavillante o un nastrino colorato 
				può dare nuova luce ad un outfit dal sapore un po’ classico.
 
 Si direbbe proprio che sia questo il caso di Giada Curti 
				e dei suoi abiti al profumo di rosa: con la sua nuova collezione 
				primaverile “Poème Rose” é riuscita a sbalordire tutti, 
				creando una linea iper femminile ma soprattutto profumata: 
				tutti gli indumenti sono stati messi a bagno nell’acqua di 
				rosa e ne hanno assimilato la caratteristica, delicatissima 
				fragranza.
 
 Raffinatezza, morbidezza e trasparenza sono le peculiarità della 
				collezione, che si ispira ad un ideale di donna eterea, 
				leggiadra, forse un po’ lolita ma sempre molto chic, 
				un’autentica principessa delle favole.
 
 La stilista romana è un vero e proprio portento. Fin da piccola 
				trascorre del tempo nell’atelier della nonna per assimilare 
				l’arte del cucito e della decorazione; qui si cimenta nella 
				creazione di abiti da sposa. Mostra fin da subito uno spiccato 
				gusto neoclassico.
 Sulla sua tavolozza approdano colori pastello, sui toni del 
				grigio perla, dell’azzurro cenere e del rosa antico, che 
				ritroveremo tutti in “Poème Rose” .
 
 In quanto artista effettua scelte piuttosto audaci, scegliendo 
				di legare il proprio nome ad alcuni temi di scottante attualità 
				come quello dello stalking e dei matrimoni gay.
 
 Su un suo abito fa ricamare le cifre dell’articolo di legge 
				612 bis, che condanna le molestie, e nel 2011 in occasione 
				di uno dei primi matrimoni omosessuali ha fatto sfilare 
				le sue modelle in abiti nuziali.
 
 La passerella è cosparsa di petali; vengono ricreate atmosfere 
				magiche, quasi oniriche; fiocchi e bouquet di fiori si posano 
				fra i capelli delle modelle, incantevoli come bambole di 
				porcellana. Non ci sono parole per descrivere l’ambiente e del 
				resto una rosa non ha bisogno di predicare. Si limita soltanto a 
				diffondere il proprio profumo.
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			| TUTTO TV Promesse, 
				scandali e polemiche: campagna elettorale flop di 
			Giuseppe Bosso 
 E alla fine vennero i due giorni consacrati alle urne. Va 
				in archivio una campagna elettorale dove, come da 
				italica tradizione, si sono susseguiti sui nostri 
				teleschermi dibattiti, tavole rotonde e prime serate, con la 
				coda polemica del mancato confronto con tutti i leader 
				alla quale hanno parzialmente cercato di porre rimedio Enrico 
				Mentana su La7 e Canale 5 con Italia domanda.
 
 La parola agli elettori, dunque. Ma come si presentano a 
				un appuntamento cruciale per il futuro del nostro Paese? 
				Sicuramente disorientati e in gran parte sfiduciati, 
				al termine di una legislatura dove la crisi economica ha 
				fatto da padrona pressoché assoluta prima, durante e - temiamo - 
				anche dopo.
 
 Non si può dire che i vari conduttori e giornalisti di 
				tutte le emittenti, pubbliche e private, dai veterani 
				Vespa, Santoro e Floris alle 'nuove leve' del prime time 
				Formigli e Del Debbio abbiano dispensato energie e dibattiti. Ma 
				rimane, per l'ennesima volta, la sensazione che troppo 
				spazio si sia dato alla polemica e al battibecco e 
				poca attenzione abbiano avuto, in concreto, le reali 
				problematiche di un'Italia sempre più ai margini della scena 
				europea e mondiale.
 
 Ancora una volta - da quando è venuta fuori la cosiddetta 
				'Seconda Repubblica' da quello scandalo chiamato nei libri 
				di storia 'Mani pulite' - hanno tenuto banco le 
				inchieste giudiziarie che non hanno praticamente risparmiato 
				nessuno degli schieramenti venuti fuori da quel periodo che 
				avrebbe dovuto segnare un nuovo corso per il nostro Paese; e 
				ancora una volta le personalità più o meno direttamente 
				coinvolte si sono astenute dal fare quel doveroso - in altri 
				Paesi - passo indietro che dissipasse, almeno 
				nell'immediato, ogni eventuale sospetto. Altro cavallo di 
				battaglia cruciale quello delle tasse, tra promesse più o 
				meno appariscenti di riduzioni e/o restituzioni, della cui 
				attendibilità ci rimettiamo alle vostre valutazioni.
 
 Nell'incertezza generale abbiamo assistito alla nascita di 
				nuovi schieramenti, sostenuti da personalità estranee al 
				gioco politico, almeno per come si è finora sviluppato: ma 
				sapranno, qualora gli elettori accorderanno a larghissima 
				maggioranza la loro fiducia, far fronte concretamente alle 
				aspettative di rinascita?
 
 Staremo a vedere: la parola anzitutto agli elettori e poi 
				agli eletti.
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			| PINK NEWS Roberta 
				Benetti: una donna contro il cancro di 
			Sara Giuliani 
 Spesso definita come la malattia del XX secolo, il cancro 
				è una patologia tra le più diffuse, eppure tra le più difficili 
				da curare: in molti casi esistono delle possibilità per i 
				pazienti, che sottoposti a chemioterapia o radioterapia possono 
				guarire, talvolta senza dover ricorrere a interventi chirurgici 
				invasivi; ma si tratta in ogni caso di cure con pesanti 
				effetti collaterali e che debilitano molto l'organismo.
 
 Le ricerche per una cura definitiva non si fermano: 
				biologi e dottori continuano a studiare e sperimentare nuovi 
				metodi, appoggiati dall'Associazione 
				Italiana per la Ricerca sul Cancro (Airc).
 
 Proprio in questo contesto è nata e si è sviluppata presso l'Università 
				di Udine la ricerca di un team guidato dalla dottoressa 
				Roberta Benetti e composto dal dottorando Michele Scarola, 
				dall'esperto ricercatore austriaco Richard Schoeftner e 
				supportato da Claudio Schneider, professore di Biologia 
				all’Università di Udine e direttore del Laboratorio nazionale 
				del Consorzio interuniversitario per le Biotecnologie (Cib) di 
				Area Science Park.
 
 Tramite il suo lavoro di ricerca, nel 2010 la biologa 
				trentasettenne e il suo gruppo hanno esplorato le capacità 
				del corpo umano di autoproteggersi dall'evolversi dei tumori 
				grazie alla regolazione dei livelli delle molecole di microRna 
				prodotte dall'organismo; in particolare, hanno scoperto che una 
				di queste molecole, chiamata miR-335, influenza, tramite 
				l'azione indiretta sull'oncosoppressore p53, gli effetti di 
				alcune proteine fondamentali le quali vengono deregolate dallo 
				sviluppo tumorale ed è direttamente responsabile nel controllo 
				della generazione e delle funzioni dell’oncosoppressore Rb, un 
				gene coinvolto nella protezione dallo sviluppo dei tumori.
 
 Questa importante scoperta, pubblicata anche su una delle 
				riviste scientifiche internazionali più importanti del settore, 
				la "Cancer Research" dell’American 
				Association for Cancer Research, porta con sé 
				importantissime implicazioni: le capacità di autodifesa del 
				corpo umano contro il cancro potrebbero essere sfruttate come 
				terapia in sostituzione della chemioterapia e della radioterapia, 
				senza creare le stesse complicazioni sull'organismo.
 
 Al momento la terapia è ancora in fase di sperimentazione, 
				non è ancora utilizzabile nella clinica e non è ancora possibile 
				parlare di una cura contro il cancro, ma indubbiamente è stato 
				raggiunto un importante traguardo nella lotta a questa malattia.
 
 Il fatto che questi studi siano stati svolti in Italia è 
				un notevole motivo di pregio per il nostro Paese e in uno Stato 
				come il nostro, dove si parla spesso di quanto la ricerca sia 
				sottovalutata e poco finanziata, non può che essere un 
				incentivo al sostegno del lavoro dei ricercatori italiani, i 
				quali non mancano certamente di capacità e sono in grado di 
				portare prestigio al nostro Paese in ambiente internazionale e 
				benefici alle persone che aspettano una cura.
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			| DONNE Maddalena 
				Vianello, fra me e mia madre 
				di Giuseppe Bosso 
 Una madre e una figlia che dialogano, ripercorrendo la lunga 
				fase che le donne del nostro Paese hanno attraversato dagli anni 
				Sessanta ad oggi. Così nasce Fra me e te, edito da
				Et al., 
				nelle librerie da pochi mesi con notevole successo. Loro sono 
				Mariella Gramaglia, giornalista e studiosa con alle spalle 
				una lunga attività politica sia come parlamentare che come 
				assessore al comune di Roma, che negli ultimi anni è stata a 
				lungo in India per seguire un progetto a sostegno delle donne 
				con la Cgil, e Maddalena Vianello, che abbiamo il piacere 
				di intervistare. Studiosa e organizzatrice culturale, già 
				direttrice della Design Library, impresa di promozione del 
				design italiano, con alle spalle varie collaborazioni con 
				l’Istituto Luce e diverse produzioni televisive, ideatrice del 
				progetto di ricerca Sonia la meccanica, impegnata nel 
				movimento delle donne e parte dell’Associazione Orlando di 
				Bologna. Nel libro sono presenti anche brani scritti dalle 
				giornaliste Lidia Ravera e Franca Fossati.
 
 Maddalena, come nasce questo libro?
 «L’idea di dare alle stampe questo nostro epistolario non è nata 
				così; da sempre io e mia madre abbiamo un dialogo profondo e 
				frequente che ha spaziato su vari temi, soprattutto legati alla 
				politica e alle donne in particolare. Tuttavia avvertivamo 
				spesso la sensazione di non riuscire del tutto ad andare a fondo 
				delle questioni, di sfuggire i temi più complicati; e allora, 
				due anni fa, ci è venuta questa idea di scriverci, per un 
				confronto a ruota libera sui temi che avrete modo di scoprire 
				leggendo il libro. Lei è stata una delle pioniere di quel 
				femminismo che in Italia è nato e si è sviluppato negli anni ’70 
				e che io nella mia vita ho imparato a sostenere, anche aderendo 
				a recenti movimenti e manifestazioni come quella di due anni fa,
				Se non ora quando?; ci siamo interrogate su quell’eredità 
				che quegli anni hanno trasmesso ai giorni nostri; ma non solo: 
				c’è spazio anche per i ricordi della nostra vita familiare; il 
				corpo femminile e quell’autodeterminazione che oggi è 
				soprattutto consumo. Temi diversi ma intrecciati».
 
 È stato difficile per voi mettere a nudo il vostro rapporto 
				nei confronti di tanti lettori?
 «Per quanto mi riguarda, no. È stato tutto spontaneo e onesto; 
				non ti nascondo che ci sono stati anche momenti di duro 
				confronto in questo contesto, ma come ho detto io e mia madre 
				abbiamo sempre avuto questo dialogo profondo e diretto, che le 
				persone che abbiamo incontrato alle prime presentazioni ci hanno 
				riconosciuto dicendo che siamo state molto coraggiose 
				nell’esposizione».
 
 Il femminismo di cui tua madre è stata, appunto, tra le 
				pioniere nel nostro Paese, come si colloca nella realtà dei 
				nostri giorni?
 «Le epoche cambiano e inevitabilmente anche le esigenze si 
				adeguano alla realtà dei tempi. Ma quella strada da lei 
				intrapresa è la mia di adesso, e noto che tante battaglie 
				combattute all’epoca non sono finite, ma vanno anzi continuate e 
				difese da chi cerca di mettere ancora in discussione, per 
				esempio, l’aborto. Quell’esperienza costituisce un ottimo 
				bagaglio per affrontare le nuove sfide della nostra epoca, e io 
				al primo posto ci metto senz’ombra dubbio la precarietà. È un 
				problema di tutti, a cominciare dai giovani, ma le statistiche 
				parlano chiaro quando affermano che sono anzitutto le donne a 
				soffrire questa morsa micidiale, indegna di un Paese civile. A 
				maggior ragione se si pensa che le donne si fanno carico anche 
				del lavoro domestico, della gestione della casa, e il più delle 
				volte sono costrette a scegliere tra la carriera e gli affetti 
				senza alcun sostegno».
 
 Cosa avete cercato di trasmettere ai lettori, e ovviamente 
				alle lettrici in particolare?
 «Per quanto mi riguarda due cose soprattutto: anzitutto che 
				parlarsi si può, anche in questi tempi. E poi, ci tengo a 
				sottolinearlo, che rinnovarsi si può, ma non condivido questa 
				improvvisa voglia di ‘rottamare’ da molti esposta, quasi che 
				tutto quello che abbiamo vissuto fosse da buttare via. Ho 
				cercato per quanto possibile di condividere con mia madre il 
				disagio di essere precarie oggi – cosa che mi riguarda 
				direttamente, ma credo sia anche un problema drammaticamente 
				diffuso per le donne della mia generazione – e mi auguro che 
				tramite lei, nel nostro dialogo, questo messaggio venga recepito 
				anche dalle altre generazioni, che temo non comprendano a fondo 
				questa sofferenza».
 
 C’è qualcosa che non sei riuscita a dirle nemmeno in questo 
				modo particolare?
 «No. Credo proprio di averle detto tutto quello che sentivo di 
				volerle dire».
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