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Telegiornaliste anno IX N. 4 (348) del 28 gennaio 2013
 
	
		
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			| TGISTE Lisa 
De Rossi: la 'salita' è la mia specialità. 
Il giornalismo bello e impossibile
di Giuseppe Bosso 
 Abbiamo nuovamente il piacere di incontrare
			Lisa De Rossi, volto di Antenna 3, della quale scopriamo un lato inedito, 
oltre a quello legato al mondo della televisione e del telegiornale.
 
 Conosciamo solo l’anima televisiva di Lisa De Rossi, in realtà c’è altro.
 «Sì. Oltre alla tv c’è l’anima dell’ufficio stampa, che è arrivato dopo. 
Professionalmente sono nata con la televisione e, pur continuando a condurre il telegiornale, ho raccolto la sfida lanciata dal direttore scientifico di un 
ospedale di neuroriabilitazione che aveva intenzione di costituire un ufficio 
stampa fino ad allora inesistente. Un’esperienza professionalmente e umanamente 
fortissima, a contatto con grandi professionisti, uomini e donne di scienza; con 
i pazienti e i familiari con i quali ho instaurato delle splendide e durature 
amicizie. Un giornalista se lo vuole ha mille e una possibilità».
 
 La crisi certo non aiuta, ma non dovrebbe essere proprio in momenti come 
questi che l’informazione dovrebbe essere sostenuta e incentivata?
 «Senz’altro. Aggiungerei anche ringiovanirla: quando sento storie di emittenti 
pronte a cedere le armi provo una sofferenza fisica, ma sfortunatamente anche 
gli editori fanno quello che possono. In Veneto abbiamo delle buone realtà e 
giornalisti preparati, con una volontà di ferro, che raccontano la crisi nelle 
aziende, nelle istituzioni, nelle famiglie, degli imprenditori che si tolgono la 
vita, tenendo alta l’attenzione sperando di sensibilizzare chi dovrebbe aprire i 
cordoni delle borse. A pagare sono soprattutto, anzi vorrei dire quasi 
esclusivamente, le tv locali, dove vedi i giornalisti correre da un angolo 
all’altro della città o della regione; i mezzi sono pochi, ma il notiziario è 
sempre garantito».
 
 Il giornalismo è cambiato?
 «Mi dicono di sì. Il mio osservatorio è limitato agli ultimi 15 anni, ma 
basandomi sull’analisi di colleghi più grandi di me o semplicemente leggendo 
cronache di molti anni fa mi rendo conto che di acqua sotto i ponti ne è 
passata».
 
 Per esempio?
 «Fare giornalismo d’inchiesta è sempre più difficile, sono in pochi a difendere 
la bandiera, come Fabrizio Gatti, per cui ho un’ammirazione sconfinata. Internet 
ci ha fatto sedere, anzi accomodare, basta aprire il pc ed è tutto lì, on line. 
Grazie al giornalismo partecipato si riesce ad essere sempre sulla notizia. Si 
consumano poche scarpe, come diceva un vecchio volpone di giornalista! E chi va 
più a cercare le notizie? Un’altra considerazione è che nel giornalismo c’è 
troppo divismo, che non giova quasi mai alla penna».
 
 I nostri lettori sono sempre con te: conti anche su di loro?
 «Molto. L’ho già detto in una precedente intervista: siete voi con le vostre 
caps che ci fate conoscere e ci strappate un sorriso anche quando non abbiamo 
voglia di sorridere. Siete seri, pronti a difenderci da qualche commento amaro e 
a talvolta feroce! Tenete alta l’attenzione su di noi. Grazie per questo e per 
altro».
 
 Cosa cercherai di trasmettere?
 «Che ottenere risultati costa fatica, nessuna scorciatoia e nessuna pietà per 
chi le prende. Per tutta la vita vorrei trasmettere la semplicità, la verità 
delle cose e soprattutto ricordare a tutti il diritto di andare fino in fondo: 
nell’amore, nell’amicizia, nel lavoro. Credere sempre in quello che fai».
 
 Ci pare di capire che credi molto nei giovani e nelle loro aspirazioni...
 «A questo proposito, qualche sera fa ero a cena dalla mia amica Enrica. A tavola 
con noi c’era la figlia Anna, una splendida bambina di 8 anni che alla domanda 
su cosa le piacerebbe fare da grande ha candidamente risposto, spiazzandoci non 
poco: voglio studiare molto per far rinascere chi ci lascia. Ecco, ho pensato 
che si tratta di un progetto a dir poco ambizioso, ma con un progetto così chi 
avrà il coraggio di fermarla?».
 
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			| NONSOLOMODA Cara, 
								dove sono i miei leggings?! di 
			Michela Tortolano 
 Moda è osare e stupire, anche quando tutto 
								sembra esser stato già cucito. Per questa 
								stagione arrivano i meggings: i 
								leggings per lui. Il nome nasce dalla 
								fusione del termine leggings, capo destinato al 
								genere femminile, con il termine men.
 
 Ad aver lanciato nelle passerelle questo nuovo 
								indumento sono i brand statunitensi.
 Non hanno inventato nulla di nuovo, certo, ma 
								hanno reso questi pantacollant una scelta 
								di tendenza tutta al maschile, sottraendoli 
								all’opinione comune che li ha sempre “concessi” 
								agli eroi o alle star. Infatti Superman ed il 
								cantante degli Aerosmith già si sono esibiti 
								pubblicamente in collant coprenti.
 
 Questa nuova proposta di stile stupisce, ma non 
								si tratta di una consistente rivoluzione come 
								quando Coco Channel ha inserito i pantaloni 
								nel guardaroba femminile…
 
 Questo trend è in voga dagli anni ’60 e di fatto 
								non è mai stato abbandonato dagli stili che nel 
								corso degli anni si sono evoluti. Esso stesso è 
								un capo che si evolve e si modella non solo alle 
								varie epoche, ma anche alle diverse 
								esigenze di look: in lycra, in pizzo, in 
								cotone, in microfibra per diventare casual 
								con le sneakers o chic con i tacchi a 
								spillo.
 
 Anche per il genere maschile gli stilisti hanno 
								pensato a versioni adattabili e versatili 
								arricchendole con righe verticali 
								bicolori o da indossare sotto gli shorts!
 
 Per le vie di New York già si ammirano 
								uomini con fuseaux in abbinamenti 
								variegati. L'Europa sembra già rispondere molto 
								bene ed anche per le vie di Londra si 
								vedono ragazzi in calzamaglia.
 
 Naturalmente, la nostra capitale della moda, 
								non poteva non accogliere la novità del momento: 
								nelle vetrine di Milano si sfoggiano 
								meggings da far invidia a quelli femminili.
 
 Al maschio italiano, per ora, sembrano stare 
								ancora un po’ stretti…
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			| TUTTO TV Telegiubando: 
								La tv secondo Giubo.
								Guardavamo negli anni ’90: Karaoke, nasce la 
								stella di Fiorello di 
			Giuseppe Bosso 
 Era il 28 settembre 1992, lunedì, quando Italia 
								1 trasmetteva la prima puntata di un nuovo 
								programma dal titolo, all’epoca, piuttosto 
								incomprensibile per i più, di origine 
								nipponico; non meno sconosciuto del 
								conduttore, un giovanotto siciliano che 
								partito dalla natia Siracusa da un paio di anni 
								imperversava nella scuderia di Radio Deejay,dove 
								aveva conosciuto il suo mentore Claudio 
								Cecchetto, Fiorello, all’anagrafe Rosario.
 
 Partito così in sordina, Karaoke 
								divenne ben presto un programma di punta 
								dell’emittente ‘giovane’ dell’allora gruppo 
								Fininvest: divertiva i telespettatori vedere 
								ogni sera, in una piazza diversa, quei 
								concorrenti più o meno intonati cimentarsi a 
								cantare i più grandi successi della canzone 
								italiana e non, trascinati da quel ragazzo con 
								il codino che ben presto sarebbe 
								diventato beniamino non solo del giovane 
								pubblico di Italia 1.
 
 Grazie al successo del programma, Fiorello vince 
								per due anni di fila il telegatto e, 
								nell’estate del 1994, il programma viene 
								promosso in prima serata. Al suo fianco c’è una 
								giovane ragazza padovana destinata anche lei a 
								diventare grande protagonista del piccolo 
								schermo, Katia Noventa.
 
 Poi, nel 1995, quando ormai è stato ammesso di 
								diritto al salotto buono dei grandi 
								personaggi della tv, Rosario lascia il 
								programma, preparandosi a partecipare al 
								Festival di Sanremo, dove troverà la sua 
								fidanzata di allora, Anna Falchi, al fianco di 
								Pippo Baudo e Claudia Koll, nelle vesti di 
								grande favorito con Finalmente tu - ma 
								alla fine invece vincerà Giorgia con Come 
								Saprei – e per rimpiazzarlo Italia 1 si 
								affida a suo fratello Beppe, che decide – 
								infaustamente – di imitare l’illustre congiunto 
								nel codino e nel soprannome, facendosi chiamare
								Fiorellino.
 
 L’esperienza, nella quale verrà affiancato da 
								Antonella Elia, si rivelerà deludente e così 
								dopo tre anni Italia 1 deciderà di chiudere 
								definitivamente i battenti anche a causa del 
								progressivo calare degli ascolti. In seguito, 
								‘riappropriatosi’ del proprio nome originale, 
								Beppe Fiorello diventerà uno dei più 
								apprezzati attori italiani, soprattutto di 
								fiction, anche se non mancherà di ricordare con 
								rimpianto e amarezza quella sfortunata 
								esperienza, soprattutto per la delusione –
								
								raccontata da lui stesso - con cui il 
								fratello l’aveva vissuta.
 
 Grazie allo show di Italia 1, il karaoke si è 
								progressivamente diffuso nei locali di 
								tutta Italia ed è diventato occasione di ritrovo 
								e di sfida tra amici, per vivere anche 
								all’insegna della risata e dell’allegria il 
								gusto della sfida canora.
 
 Durante i suoi tre anni di programmazione, tra i 
								concorrenti che si sono alternati con Fiorello 
								si sono segnalati anche futuri protagonisti 
								del mondo dello spettacolo, come Tiziano Ferro, 
								Elisa, la vj Camila Raznovich e l’attrice Laura 
								Chiatti.
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			| PINK NEWS The 
								Carrie diaries: la serie televisiva mai 
								trasmessa in Italia è già un successo
								di Chiara Cianniello 
 Non si è ancora vista in Italia ed il web già 
								impazza per lei. Ha già un
								
								sito ufficiale la nuova Carrie Bradshaw, 
								interpretata da AnnaSophia Robb, che forse molti 
								ricorderanno come l’adorabile “child actress” 
								della “Fabbrica di cioccolato”. La piccola ha 
								fatto enormi passi in avanti rispetto a quando 
								recitava al fianco di Willy Wonka; oggi stringe 
								lo scettro di Sarah Jessika Parker e veste i 
								panni di un importantissima icona di stile.
 
 É la stella indiscussa della nuova serie tv 
								americana The Carrie diaries, 
								ispirata al romanzo omonimo di Candace 
								Bushnell: finalmente la regina di Manhattan 
								torna a far parlare di sé, ma stavolta la 
								vedremo alle prese con i primi amori e le crisi 
								adolescenziali. Ha quindici anni, una situazione 
								familiare difficile da gestire e tanta voglia di 
								emergere. La ritroveremo un po’ meno glamour e 
								più fragile: niente pc, niente cellulare, niente 
								sex e niente city, ma soltanto un diario su cui 
								appuntare i propri pensieri.
 
 I produttori si lanciano a capofitto in una 
								sfida piuttosto ardua e non si sa se ne 
								usciranno vincitori: creare una serie inedita, 
								improntata al genere del teen drama senza 
								far arricciare troppo il naso alle fan storiche 
								di Sex and the city: più facile 
								a dirsi che a farsi.
 
 Di fatto fioccano le prime critiche; 
								probabilmente perché la piccola Robb è una 
								bellezza troppo rarefatta, quasi eterea, e si 
								discosta molto dalla radiosa eleganza di Sarah 
								Jessika Parker.
 
 Anche lei come la Marilyn di Michelle Williams 
								deve confrontarsi con un illustre predecessore: 
								la tensione è alle stelle e sulla rete c’è chi 
								parla già di flop, ma inaspettatamente la 
								ragazza ci regala una buona performance 
								recitativa; si intravede una certa continuità 
								nelle due interpretazioni; il personaggio 
								conserva la sua caratteristica verve creativa, 
								la sua freschezza e la sua passione per la moda, 
								che in sostanza è quello che ci ha fatto 
								innamorare di lei.
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			| DONNE Sophie 
									Scholl: la Rosa Bianca della Germania 
									nazista 
									di Sara Giuliani 
 Il 27 gennaio è il giorno in cui si 
									ricordano i milioni di vittime provocate dal 
									Nazismo durante la Seconda Guerra Mondiale: 
									tanti sono gli eventi proposti dalle varie 
									città italiane e anche la televisione dà il 
									suo contributo trasmettendo film sul tema. 
									Tema che forse a volte suscita poco 
									interesse, non perché non se ne riconosca 
									l'importanza, ma perché spesso si crede di 
									sapere tutto ciò che c'è da sapere.
 Ecco allora che il Giorno della memoria 
									può diventare un'ottima occasione per 
									riscoprire storie da tempo dimenticate o 
									poco conosciute, come la storia di Sophie 
									Scholl.
 
 Ciò che colpisce della Germania degli anni 
									Quaranta è l'assenza di opposizione 
									al Nazismo, ma ciò non è del tutto corretto: 
									ricordare Sophie Scholl mostra come ci fu 
									qualcuno in contrasto con le idee diffuse 
									tra i tedeschi da Hitler e i suoi seguaci; 
									qualcuno che, davanti alla loro violenza, 
									decise di alzare la voce.
 
 Sophie nacque il 9 maggio 1921 a 
									Forchtenberg, cittadina tedesca di cui suo 
									padre era sindaco, e successivamente la sua 
									famiglia si trasferì definitivamente a Ulma. 
									Durante la sua gioventù si trovò a 
									percorrere tutte le tappe di educazione 
									stabilite dal regime nazista: l'iscrizione 
									alla gioventù hitleriana, il servizio come 
									ausiliaria, il lavoro coatto in un impianto 
									metallurgico. Tutte queste esperienze non la 
									resero convinta della veridicità delle 
									affermazioni del Fuhrer, ma, al contrario, 
									la fecero meditare su quale dovesse essere 
									il giusto comportamento di un cristiano 
									in quel regime che faceva della violenza un 
									punto basilare del suo programma. Grazie al 
									suo vivace intelletto maturò idee personali 
									che la opposero all'ideologia vigente in 
									quel periodo, ma non alla sua famiglia, che 
									fin dal principio non appoggiò i nazisti, 
									tanto che suo padre fu arrestato nel 
									1942 per aver pronunciato apertamente il suo 
									dissenso.
 
 Proprio nel 1942 Sophie inizia a frequentare 
									l'Università di Monaco e, grazie al 
									fratello maggiore Hans, l'ambiente 
									letterario e intellettuale dell'epoca. 
									Sempre grazie alle conoscenze del fratello 
									fondò il gruppo della Rosa Bianca, 
									che tramite volantini incitava alla 
									ribellione passiva contro i nazisti. I 
									ragazzi che lo fondarono facevano appello 
									alla coscienza dei tedeschi per 
									risollevarli dagli atti crudeli che avevano 
									compiuto fino ad allora, perché, come disse 
									la stessa Sophie durante uno dei suoi finali 
									interrogatori, "le leggi cambiano, la 
									coscienza resta".
 
 La Rosa Bianca finì quando fu deciso di 
									lanciare dei volanti in pieno giorno 
									nell'atrio dell'università: un bidello vide 
									e fermò Sophie e Hans, che furono arrestati.
 L'interrogatorio di Sophie durò quattro 
									giorni, durante i quali l'ufficiale che 
									la interrogò fu impressionato dal suo 
									coraggio e le propose una soluzione per 
									salvarsi la vita: le sarebbe bastato 
									ammettere di essere stata plagiata dal 
									fratello e di essere pentita per ciò che 
									aveva fatto; ma Sophie non voleva salvare la 
									sua vita, voleva salvare la sua coscienza, 
									le sue idee, perciò non si fece remore nel 
									ribattere "ripeterei quello che ho fatto, 
									perché non io, ma lei ha una falsa visione 
									del mondo".
 Dopo un processo farsa, Sophie e Hans Scholl 
									furono condannati a morte e 
									decapitati il 22 febbraio 1943.
 
 Per fortuna la sua storia non fu del tutto 
									dimenticata e diversi film sono stati creati 
									basandosi su di essa, l'ultimo dei quali nel 
									2005 creato dal regista tedesco Marc 
									Rothemund racconta degli ultimi sei 
									giorni di vita di Sophie.
 Sophie visse la sua vita fedele ai suoi 
									principi cristiani e perdendo la propria 
									vita pur di non tradire ciò che per lei era 
									giusto, cercando di essere sempre coerente 
									con il motto che lei stessa aveva creato per 
									la Rosa Bianca: bisogna avere uno spirito 
									forte e un cuore tenero.
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