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Intervista a Stefania Bianchini (2)   Tutte le interviste tutte le interviste
Stefania BianchiniTelegiornaliste anno VI N. 10 (227) del 15 marzo 2010

Stefania Bianchini: Il pugilato italiano mi deve tutto
di Pierpaolo Di Paolo

La scorsa settimana abbiamo parlato dell'ammissione della boxe femminile alle prossime Olimpiadi di Londra, un grande traguardo raggiunto dopo anni di discriminazioni e dure battaglie. Proviamo a chiedere a una delle principali fautrici di questo risultato, Stefania Bianchini, campionessa mondiale Wbc nel 2005, cosa ne pensa.

Stefania, tu che sei stata una pioniera della boxe italiana, oggi non vivi anche un pizzico di rimpianto?
«Sinceramente no. Per partecipare alle Olimpiadi devi esser ancora dilettante, ed io non ho mai fatto la dilettante. Me ne sono andata all'estero a combattere da professionista, e quando son tornata in Italia non potevo comunque più fare la dilettante. Quindi il problema per me non si è proprio posto, alle Olimpiadi non ci sarei potuta andare lo stesso. Probabilmente per la Galassi è stata una beffa, perché lei ha combattuto in Italia da dilettante e poi, per motivi d'età, non ha potuto più attendere. È passata al professionismo, e adesso alle Olimpiadi ci vanno le ragazze. Io ho avuto i miei rimpianti nel non aver potuto fare pugilato in Italia, perché era vietato fino al 2001. Rimpiango non tanto le Olimpiadi, quanto di aver perso degli anni buoni, in cui non ho potuto proprio combattere».

Si può immaginare che la visibilità delle nuove sarà molto accresciuta.
«Sicuramente avranno una visibilità maggiore anche di quella che ha la Galassi in questo momento, pur da campionessa del mondo. Sono le cose che succedono quando c'è una novità. È una grande vetrina, una kermesse, un'occasione di grande visibilità, come fai a negarlo. Ciò aprirà le porte a sponsor oltre che a una maggiore sensibilità nei confronti del pugilato femminile. Magari ne godrà perfino il pugilato maschile, di conseguenza. Ma io non ho alcun rimpianto. Poi, avanti le giovani, perché è anche giusto che ci siano quelle nuove adesso».

Hai mai fantasticato di iniziare adesso, alle condizioni attuali?
«Io ho fatto la mia battaglia, qualcosa ho vinto, però adesso tocca alle altre. Io vorrei solo una cosa: che le ragazze non si dimentichino quello che ho fatto per loro, perché se c'è il pugilato in Italia e se vanno alle Olimpiadi lo devono anche a me. Se esiste il pugilato femminile in Italia è per il casino che ho fatto io. L'importante è che tutto questo sia la fine di molte discriminazioni. Ed io ne ho subite parecchie».

A proposito di discriminazioni, hai letto l'articolo di Dario Torromeo uscito qualche tempo fa sul Corriere dello Sport?
«Sì, e ne sono molto delusa».

Hai qualcosa da rispondere a Torromeo?
«Beh, da uno che si autodefinisce conoscitore di pugilato mi sorprende tanta superficialità e banalità nelle critiche. Innanzitutto è impreciso sui numeri, perché le donne pugili sono molte di più. Poi dimostra impreparazione quando parla dei colpi alle mammelle, dato che lo sanno tutti che c'è la protezione al seno. Infine critica le donne alle Olimpiadi parlando però di pugilato professionistico, confondendo così situazioni molto diverse. Tira in ballo nomi di professioniste quali la Galassi e Laila Alì, che a livello italiano e mondiale son i nomi più banali che potesse fare, quelli che conoscono proprio tutti. Peccato che poco c'entravano col discorso olimpico, evidentemente i nomi delle dilettanti nemmeno li conosce. Secondo me è più spinto dal desiderio di criticare che da una effettiva conoscenza della realtà che critica».

Ma è vero che bastano 3 incontri e anche la salumiera della porta accanto è pronta per un match mondiale?
«Questo è quello che dice lui. Io credo che la Galassi, visto che la cita, ha dovuto farne molti di più. Occorrono match di avvicinamento, ci sono delle classifiche internazionali basate sui risultati ottenuti, occorre preparazione. Sinceramente da uno che "conosce" il pugilato, magari mi aspettavo anche delle critiche, ma non così. Ha attaccato il pugilato femminile come potrebbe farlo qualsiasi altro che di boxe non ne capisce davvero niente. Al posto suo avrei detto 'A me non piace, stop', ma con gli appunti ingenui ed infondati che ha mosso non ci ha fatto una bella figura».

Chiacchiere da bar insomma?
«Assolutamente sì. Comunque quando parlavo di discriminazioni non mi riferivo solo a questo».

A cosa ti riferisci?
«Soprattutto al problema economico. Il trattamento che è riservato alle donne, come purtroppo avviene in tutti gli sport femminili, è davvero poco consono. Solo che nel pugilato tutto questo è elevato all'ennesima potenza. Siamo meno tutelate: non ci sono solo le differenze fisiologiche - se una ha una gravidanza ha finito di gareggiare - ma una profonda discriminazione economica che accentua tutte le altre difficoltà».

Non c'è il cachet degli incontri di Tyson, insomma.
«Ma neanche degli incontri maschili italiani di medio livello. È questa la grossa discriminazione. Anche all'estero, le pugili che hanno guadagnato qualcosa sono solo quelle che si sono spogliate. Alla fine devi sempre passare per la rivista, per l'esser sexy, per il tuo corpo. Non c'è rispetto per la sportiva in quanto tale».


E pensi che ora cambierà tutto?
«Beh, non è che ci sarà una rivoluzione. Però adesso quando una di queste ragazze vincerà, avrà una medaglia che sarà uguale a quella degli uomini. Ciò ridarà una maggiore credibilità all'intero movimento. È anche vero che da oggi diventerà più difficile vincere, perché nel momento in cui uno sport diventa olimpico, le atlete si fanno tutte agguerritissime. Per cui a tutte loro posso dire solo buona fortuna».

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Pallavoliste volley femminile


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