Intervista a Roberta Bruzzone | tutte le interviste |
Telegiornaliste anno VII N.
40 (300) del 5 dicembre 2011
Roberta Bruzzone e i veri criminologi di Giuseppe Bosso È ormai un volto noto del piccolo schermo, familiare a chi segue i programmi dedicati ai casi di cronaca che negli ultimi anni hanno caratterizzato il nostro Paese. Presidente dell'Accademia Italiana delle Scienze Forensi, psicologa e criminologa, incontriamo Roberta Bruzzone. Perché tanto interesse per i delitti, secondo lei? «Non è certo una scoperta dell'ultim'ora, a ben vedere. Fin dall'800, con la nascita delle prime testate e dei primi articolisti che seguivano le vicende di cronaca nera, c'è questo forte interesse da parte della collettività. Ma, ieri come oggi, con poca attenzione per le vittime. A destare attenzione e curiosità sono i presunti colpevoli e le indagini. Oggi l'interesse è amplificato dai media, internet in testa». La cronaca nera e il suo "share" sono una causa del peggioramento della società italiana? «Non credo ci sia un rapporto di causa ed effetto. E' vero che con il progresso tecnologico e la diffusione di sofisticati mezzi di comunicazione c'è maggiore possibilità di essere aggiornati, ma anche in passato l'interesse era forte: ricordi per esempio il caso dei coniugi Bebawi. Purtroppo è anche vero che queste vicende possono essere facilmente strumentalizzate da chi ha interesse a distogliere l'attenzione dal difficile momento politico ed economico che stiamo vivendo». Sembra, come sottolineava, che ci sia più interesse per i presunti colpevoli che per le vittime. «Molto dipende da come le famiglie delle vittime scelgono di rapportarsi con la stampa. L'accusato è al centro dell'attenzione e, se posso usare un termine forte, è evidente che ne può approfittare per diventare una vera e propria star, anche se sui generis. Ciò che conta davvero, però, raccontare l'evoluzione dell'indagine, l'accertamento dei fatti. Ed il rispetto per gli inquirenti che sono impegnati nella ricerca della verità». Mesi fa è finita nel mirino di Virginia Raffaele, imitatrice di Quelli che il calcio... «Non ci sono più gli imitatori di una volta! Non ho gradito per il dubbio gusto con cui sono stata rappresentata in quel contesto, anche se capisco che è conforme al carattere ridanciano e di basso profilo della trasmissione. Ma non posso negare che ho avuto molta visibilità. È difficile che una persona poco conosciuta venga presa di mira così...». Non crede che un'eccessiva presenza dei criminologi in tv rischi di screditare la categoria? «Dipende sempre da chi si espone. C'è criminologo e criminologo, glielo assicuro. Io ho titoli e curriculum per potermi esprimere con piena cognizione di causa, soprattutto perché lavoro sul campo da anni, con buona pace di tanti pseudo colleghi e vari personaggi alquanto discutibili. Io mi sono sempre espressa con competenza e non ho mai millantato titoli o riconoscimenti, come fanno invece tanti altri che vanno in giro a spacciarsi per esperti senza aver mai messo piede in un'aula di tribunale, su una scena del crimine e senza aver mai seguito, con incarichi ufficiali, casi complessi. Il settore criminologico italiano avrebbe proprio bisogno di una bella ripulita, c'è troppa gente che flagella la credibilità della categoria con la sua sconcertante superficialità». Cosa consiglia ai tanti aspiranti criminologi? «Determinazione, impegno e passione. Molta voglia di studiare, seguire un percorso post laurea mirato: la criminologia si lega indissolubilmente anche ad altre materie come la criminalistica, la medicina legale, la biologia. In Italia stanno nascendo strutture specializzate ma un'esperienza all'estero, negli Stati Uniti soprattutto, è consigliabile visto che, rispetto al nostro Paese, viene privilegiata la formazione pratica». |
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