Telegiornaliste anno XVII N.
12 (662) del 31 marzo 2021
Viviana
Brambilla, mamma in libreria
di
Giuseppe Bosso
Giornalista e scrittrice, Viviana Fornaro Brambilla ci
racconta la sua ultima fatica letteraria, pubblicata da
Cavinato,
A bordo di un arcobaleno.
Come nasce il tuo libro e a chi è dedicato?
«
A bordo di un arcobaleno, nasce dall’esigenza di
raccontarci in prima persona. Dopo anni a promuovere le
storie altrui, credevo fosse giunto il momento di parlare di
noi, durante un periodo critico in cui tutto sarebbe passato
alla storia. Peraltro, alcune riflessioni contenute nel
libro autobiografico, sono state pubblicate in anteprima,
nel mio blog, attivo dal 2015:
Vite in Matrioska. Da lì, ho preferito
raccogliere le idee, i vissuti, i momenti più rocamboleschi
ma sempre a sfondo riflessivo, a parte, in modo da renderle
esclusive. Una rivelazione anche per la mia famiglia, la
quale sapeva del mio amore per la scrittura, in quanto
giornalista iscritta all’albo e blogger, ma mai avrebbe
pensato stessi scrivendo un libro che riguardasse tante
figure del nucleo familiare. Tuttavia, sono le stesse a cui
ho dedicato diversi capitoli e in ordine troviamo mia madre,
mia sorella e mio padre. La prima, ha avuto un passato
tormentato che non le ha permesso di farmi da genitore, in
quanto impegnata nelle sue cure, la seconda, sorella da
parte di madre, vive in un contesto comunitario, lontano dai
suoi affetti e già riportandovelo potrete immaginare il
disagio. Mentre per la figura paterna, praticamente
inesistente, c’è stato un cosiddetto ritorno: da quando è
diventato disabile, settembre 2017, il nostro rapporto si
coltiva a gesti, nonostante lui non sappia chi sia. Nel
libro, riporto un incontro molto emozionante che vede in
prima persona lui, da neo nonno e Lucrezia, mia figlia e
protagonista. I due si scambiano sguardi d’amore, al di là
di una cancellata, al muro dell’arcobaleno, luogo in cui mio
padre esegue la terapia riabilitativa. Potrete già cogliere
la scia colorata della mia vita, segnata inevitabilmente dal
passato, da cui mi sono risollevata grazie al giornale. Mi
piace dire che la carta, per quanto fosse appunto “di
carta”, mi ha riparata dalle tempeste, in attesa del
principe azzurro, mio marito Fabrizio, ma con quei fogli mi
sono riscattata. Quando mi chiedono “come fai a trovare
sempre l’aspetto positivo delle cose?”, io rispondo dicendo
che ho corso per tanto tempo sotto la pioggia battente,
quindi ora è una passeggiata. D’altro canto, la mia storia
fu ripresa un anno e mezzo fa, in occasione del matrimonio
tra me e Fabrizio: arrivai in carrozza e accompagnata da mia
sorella Benedetta. La carrozza assunse le sembianze della
speranza, come oggi il libro: la
Cenerentola di Magenta
stava lasciando per sempre il suo passato, per scambiare
quel “per sempre” con il suo principe. Dalla comunità, alla
casa famiglia, ad una casa che pare una reggia: non credo
siano coincidenze».
Raccontare la pandemia con gli occhi di un bambino, così
racconta. Come hai fatto e quanto ha influito la tua
esperienza di mamma, con una bambina nata proprio in un
momento in cui sembrava essersi abbassata la guardia, a
inizio estate 2020?
«La mia esperienza di mamma mi ha permesso di isolarmi dal
mondo, sotto ogni aspetto. In gravidanza ho vissuto momenti
di sconforto, sola a casa, poiché Fabrizio aveva ancora un
lavoro. Il suo contratto si rinnovava in base alla mole,
quindi io tiravo altrettanti sospiri di sollievo, anche se
delle volte lo preferivo al nostro fianco. Mi sono dovuta
riadattare con quel che avevo: carta e pennarelli, coloro
che mi hanno permesso di realizzare alla nascitura, un
murales disneyano personalizzato. Coloravo, ritraevo volti,
scrivevo per la maggior parte del tempo. Non senza musica.
Lei c’era sempre ed era la cornice adatta alle nostre
giornate. Non mancavo di sorridere ai vecchietti che
incrociavo per strada, sdrammatizzando sulla situazione.
Video chiamavo i parenti desiderosi di condividere con noi
la lievitazione del pancione. Mi rifugiavo nelle patatine in
quei giorni no ma poi, dal giorno in cui partecipai al corso
pre parto online, conobbi altrettante gestanti, oggi
presenti nel libro. Un intreccio di placente che mi consentì
di evadere ancor più e poi Lucrezia scalciava, comunicava
con me ed io mi sentivo la persona più fortunata al mondo».
Storie belle e vere per superare questo momento, è una
delle ragioni di fondo di cui hai parlato. Si può fare
davvero?
«Si può fare, io lo dico sempre: volere è potere o volare è
arrivare, come amo dirlo, nel mio gergo. Sono una donna
estroversa, molto curiosa e caparbia. Questo è scritturato
nel mio dna, dove scorrono anche arancini e cannoli
siciliani. La forza del fare e del tentare, arriva da nonna
Enza: io e lei abbiamo avuto un rapporto speciale. Lei c’era
alla mia prima parola, al mio primo dentino e anche quando
la chiamai “mamma”. Da lei ho ereditato un disturbo su cui
ho imparato a scherzare, delimitato (fortunatamente) al solo
periodo gestazionale: la scialorrea. Oltre alla pandemia da
cui difendermi, avevo con me una tazza salva-sputo (così
definita nel mio libro), in cui svuotavo quella di troppo.
Può sembrare banale o far sorridere ma questo problema si
presentava di frequente (ogni 5 minuti). Ho imparato a
conviverci e anche con mio marito, ci siamo fatti grasse
risate in merito a parecchi episodi che vi lascio
immaginare. All’interno di A bordo di un arcobaleno, do il
mio supporto a tutte le donne in gravidanza affette da
scialorrea: non bisogna vergognarsene. Ci si deve vergognare
di brutti gesti, di un compagno assente o di male
intenzioni. La bava di mammifero gravido è preziosa e vale
oro!».
Per la prefazione e la postfazione ti sei avvalsa di due
personaggi tra loro diversi per storie ed esperienze come
Edoardo Raspelli e
Candida Livatino: come ti sei avvicinata a loro e in che
modo si sono ritrovati nel tuo racconto?
«Conobbi il noto critico gastronomico, nel marzo del 2015
durante una serata di beneficenza a Milano. “
Piacere,
molto lieta, i miei nonni la seguono sempre. Melaverde è uno
dei loro programmi preferiti”, gli dissi allungando la
mano (quando ancora si poteva fare). “
Piacere mio, tu
saresti?”. Mi presentai, in veste giornalistica,
mostrando fiera il tesserino conquistato il mese prima e lui
apprezzò incominciando a raccontarmi dei suoi esordi al
Corriere. “
Per anni mi sono occupato di cronaca nera,
mentre tu cosa segui?”. Gli dissi che ero molto attratta
dalle notizie provenienti dal mondo dello spettacolo e stavo
muovendo i primi passi. Gli citai alcuni nomi noti per
potergli attestare la veridicità della mia dichiarazione, in
fatto di interviste, ma lui si fidò e lo notai dal suo
atteggiamento. Del resto, i miei occhi parlavano chiaro: ci
credevo dal profondo del cuore e poco a poco, portavo a casa
le mie soddisfazioni, sotto lo sguardo compiaciuto della
cara nonna. Un giorno, salì a casa e nell’imbarazzo
collettivo, rivolse non pochi complimenti alla mia seconda
mamma: il suo brasato gli era piaciuto tanto da fare il bis
e lei non poté che rimanerne estasiata. Bene, da quella
sera, con i rispettivi contatti in tasca, provammo a fare
una collaborazione insieme: ne nacquero parecchie. Al Cibus
di Parma, nel Pavese per parlare dei vini dell’Oltrepò, a
Bolzano per la gara con le ricette in famiglia, a Rimini in
occasione del Premio Cinque Stelle, per l’evento Vip Master
a Milano Marittima. Affianco a lui, sembravo minuta, ma
quando si saliva sul palco, riacquisivo la mia sicurezza:
stavo conducendo con un cronista nato, un critico senza peli
sulla lingua, pronto al giudizio senza mezzi termini.
Eppure, ero entrata nelle sue grazie e nel frattempo
coglievo gli aspetti chiave dal buon maestro, il quale mi
stava dando un’ occasione unica per imparare sul campo uno
dei mestieri più belli. Nell’aprile del 2016, mi propose di
prendere parte alla conferenza stampa del terzo libro di
Candida Livatino, in Mondadori Duomo. Mi preparai
sull’argomento e qualcosa sull’autrice, che ammiravo a
Studio Aperto, durante le sue analisi: mi piaceva esplorare
la persona, meno il personaggio e così le sottoposi
un’intervista che ricordiamo bene entrambe. Candida è una
donna piena di energie, che distribuisce sorrisi a chi
incontra, manifestandosi in tutta la sua umanità. Ci fu da
subito empatia: un mese fa ci sentimmo in occasione
dell’uscita della sua quarta fatica letteraria e da
quell’incontro telefonico, mi balzò un’idea per il mio
progetto a cui lavoravo dal precedente lockdown. Edoardo e
Candida, avevano un desiderio comune molto forte, di quelli
in cui ci speri e che al sol pensiero, fanno vibrare il
cuore: diventare nonni. Nel mio libro, ricordo la gioventù a
casa con loro, il rapporto con mia nonna Enza e soprattutto
i suoi incoraggiamenti, come solo le nostre teste bianche
sanno fare. Edoardo, in trasferta (e non), scrutava con
dolcezza quelle famigliole che incontravamo: lì, svestiva il
ruolo di bacchettone e si immaginava in quello più
bonaccione. “
Chissà se,…”, mi confidava spesso ed io
lo vedevo sul pezzo. Una speranza in cui crede anche la nota
grafologa, pronta a dedicarsi al nipotino o nipotina; “
non
avrebbe importanza, mi renderebbe felice in egual misura”.
Rivolgo anche a voi due “grazie” sinceri (ma già lo
sapete)».
Come ti sei organizzata dal punto di vista della
promozione del libro, non potendo per ovvie ragioni andare
in giro per l'Italia a fare presentazioni?
«Dal punto di vista promozionale, mi sono organizzata
creando una nuova
pagina Instagram dal nome Viviana Fornaro Brambilla.
E’ nata in concomitanza all’uscita del libro: ho pubblicato
il countdown della pubblicazione, fidelizzando il lettore,
da brava donna social, come spesso mi appellano. Oggi mi
definisco più l’influencer delle cose belle. Credo che sia
bisogno di una persona in grado di arrivare alle persone, ai
più deboli. Mi piace il paragone che ho rilasciato in
un’intervista: c’è più gusto a dar voce ad un senza tetto
che ad una tutta tette. Provengo dal mondo dello spettacolo
e al pensiero dico: sia mai! Mi sentivo un perfetto pesce
fuor d’acqua: la finzione non fa per me. La mia missione,
vuoi anche per gli stipendi risicati, è aiutare un uomo a
trovare un lavoro, far riconciliare persone che si sono
amate e volute bene, diffondere il bello delle cose. Lui
c’è, bisogna solo ascoltarlo e viene fuori. Inoltre, grazie
alle conoscenze nel territorio in cui vivo, ho potuto
promuovermi sui giornali locali. Uno solo, mi ha chiesto
soldi (e non pochi) per parlare del nostro arcobaleno.
Dapprima ho rifiutato, senza rimpianti. Una volta girata la
voce ai “piani alti”, sono stata contattata da testate
nazionali. Ecco, questo credo possa essere un’altra
testimonianza importante: mai abbattersi o pensare che
chiusa una porta, non ci sia null’altro: è proprio così che
poi si arriva a vedere l’orizzonte».
Qual è stato finora il riscontro che hai avuto dai
lettori?
«Il riscontro è in parte inaspettato e in parte no. Sapevo
che la mia storia avrebbe interessato molte persone. Nel
libro c’è la verità e quando scegli di mettere a nudo parte
del tuo vissuto, dall’altra parte non puoi che essere
apprezzata. Le persone a noi vicine conoscono le mie
lacrime, i miei sacrifici, ma anche il mio carisma ed il
sorriso che ho sempre indossato. Oggi lo dedico a quelli che
remavano contro, che dicevano che senza genitori, non avrei
potuto far nulla nella vita. Ecco, io sono l’esempio opposto
e da non figlia di, sto perseguendo i miei sogni affinché un
giorno, i miei figli possano dire: quella è mia madre».
Alla fine, la vita, è come un grande arcobaleno: ad
ogni periodo, corrisponde il suo colore, tu dici: quale
ritieni sia il colore di questo momento e quale sarà quello
del dopo pandemia?
«Il colore che affibbio immediatamente è il rosa, più che
altro perché l’associo alla nascita di Lucrezia, colei che
ha tinto di rosa l’evento del nostro 2020. Per noi è e sarà
un anno indimenticabile: la vita che trionfa sul resto, le
fatiche che si tramutano in opportunità come adesso. Cosa
potrei volere di più? Investite su voi stessi e sulle vostre
risorse: se ci credete veramente, potrà nascere qualcosa di
bello».