Telegiornaliste anno XVII N.
10 (660) del 17 marzo 2021
Franca
D'Amato, i cambiamenti del doppiaggio
di
Giuseppe Bosso
Da tempo abbiamo il piacere di intervistare i protagonisti
del doppiaggio italiano e questa settimana siamo onorati di
incontrare una delle più carismatiche voci di questa
eccellenza italiana,
Franca D'Amato.
Dove possiamo ‘ascoltarla’ in questo periodo?
«Di recente sulla piattaforma Sky è andata in onda una serie
britannica molto bella,
FatherMotherSon, con Richard
Gere, in cui doppio Helen McCroy, un’attrice di grande
classe e bravura, che ha creato un personaggio intenso,
drammatico. Molti miei colleghi mi hanno detto che ho saputo
restituire al meglio le sfumature e la forza della sua
recitazione. E detto da dei colleghi è stato davvero un bel
complimento».
Ha prestato voce a tante importanti attrici come Juliette
Binoche, Julianne Moore ed Isabelle Huppert solo per citarne
alcune, oltre che al carismatico personaggio di Bree Van De
Kamp di Desperate Housewives: in quale figura si è
riconosciuta e quale invece ha sentito più distante da lei?
«Il bello del doppiaggio è proprio quello di poter essere
personaggi che possono essere quanto di più distante ci sia
dal nostro modo di essere, dalle cattive alle pazze:
Juliette Binoche è un’attrice che ho iniziato a doppiare
proprio nel momento della sua ascesa, con
Il Danno,
Il paziente inglese,
Chocolat con cui ho vinto
anche un Nastro d’Argento. Quindi sono legata a lei anche
per questo. Bree di
Casalinghe disperate mi ha
accompagnato per 8 anni della mia vita. Ed essendo un
personaggio spregiudicato e vendicativo mi ha fatto venire
fuori tutta quella cattiveria che possiamo permetterci di
far emergere solo davanti a un leggio. E poi i personaggi
sono tanti e le sfide sono state così tante e appassionanti
che è difficile fare una classifica».
È tra le più assidue partecipi negli ultimi anni alle
trasmissioni di
Alessio Cigliano che stanno riscontrando molto successo
sia tra i fans che tra i suoi colleghi: cosa ne pensa?
«Premetto che sono dell’idea che non sia male che un
doppiatore resti nell’ombra, perché il suo è un servizio che
rende all’opera e all’attore della presa diretta. Ma proprio
per un certo mistero che si cela dietro il nostro mondo, che
affascina e incuriosisce il pubblico, la trasmissione di
Alessio ha suscitato molto interesse e lui ha saputo creare
uno spazio che è piaciuto agli appassionati».
Come ha vissuto l’ultimo anno all’insegna del lockdown e
delle nuove disposizioni che hanno inciso sul vostro
settore?
«Come per tutti è stata un duro colpo che ha creato
sofferenze. Sicuramente parlando di doppiaggio c’è stata una
notevole flessione, ma non paragonabile al disastro vero e
proprio che ha subito gran parte del resto del mondo dello
spettacolo, fermo ormai da un anno. Giusto parlare delle
difficoltà dei ristoratori, ma pensate alle persone che
lavorano nel teatro davanti e dietro le quinte, sia nella
prosa, che nella musica: attori, musicisti, cantanti e poi i
costumisti, i montatori di palchi, i datori luci, i fonici,
le sarte, tutti i tecnici e le maestranze, un mondo immenso
che è fermo da un anno. Un anno! Per loro non ci sono state
riaperture ed è per questo che confido che gradualmente,
grazie anche ai vaccini e a qualche riflessione in più da
parte del governo, anche il settore spettacolo riesca a
ripartire».
L’impossibilità di poter lavorare insieme può danneggiare
le nuove leve del doppiaggio?
«Moltissimo, ma non c’è solo quest’aspetto. I ritmi serrati
di oggi, in cui sostanzialmente la tecnologia ha prevalso,
ci hanno obbligato a sacrificare molto spesso la qualità
finale del lavoro. Una volta si riusciva anche a recitare in
sei in sala, e questo aiutava tanto anche dal punto di vista
dell’interpretazione. Ora conta di più la pulizia del suono
che richiede le colonne separate. Ma che così fa mettere in
secondo piano le esigenze recitative. Recitare vuol dire
rapportarsi con l’altro: è creare relazioni fra i
personaggi. Farlo in isolamento è molto difficile. E anche
triste dal punto di vista umano: è così che si sono creati
tanti rapporti di amicizia. Speriamo che dopo il covid, che
ancor più ci costringe all’isolamento, si torni a pensare
che l’uomo e la sua umanità devono tornare ad essere il
centro del mondo. La tecnologia deve essere al servizio
dell’essere umano».