Telegiornaliste anno XVI N. 33 (650) del 16 dicembre 2020
Valeria Cagnoni, Dreams Road in libreria
di
Giuseppe Bosso
A distanza di due anni abbiamo il piacere di ritrovare
Valeria Cagnoni, conduttrice di
Dreams Road, con il compagno e collega
Emerson Gattafoni. Per celebrare i vent’anni dall’inizio di
questo giro del mondo a bordo di una moto è arrivato da poco
in libreria
Dreams Road. Viaggi per spiriti liberi,
edito da Mondadori, una raccolta di alcune delle più
suggestive tappe che hanno caratterizzato questa avventura.
Bentrovata Valeria: parleremo del libro, ma anzitutto mi
è d’obbligo chiederti come hai vissuto il lockdown, che
all’inizio ha visto te ed Emerson bloccati in Guatamela.
Quali sono le tue sensazioni e questa esperienza, al di là
delle restrizioni che ha portato la pandemia, ha in qualche
modo cambiato la tua voglia di andare in giro per il mondo?
«Sì, è successo all’inizio della pandemia, avevamo appena
finito quel viaggio in una terra meravigliosa quando il
presidente del Guatemala ha chiuso il Paese quando la
situazione in Europa iniziava a diventare tragica, a marzo.
Siamo rimasti chiusi in albergo per circa un mese, con altri
europei, dove si poteva solo mangiare in camera, in dieci
metri quadri… al di là di questo l’esperienza dura è stata
l’isolamento, l’essere lontani dalle nostre famiglie che
sentivamo solo per telefono o tramite skype, e abitando a
Bergamo ricevevamo le notizie più drammatiche, con la
preoccupazione per i nostri cari a rischio. Siamo riusciti a
tornare, vivendo il lockdown come tutti, non ci saremmo mai
aspettati questo. Siamo riusciti a ripartire, viaggi più
corti per esempio in Francia e in Spagna, ma abbiamo ancora
voglia di viaggiare, anzi, forse più che mai dopo tutto
questo periodo, non ci era mai successo di restare chiusi in
casa per così tanto tempo».
Da cosa nasce l’idea di raccogliere in questo libro
queste esperienze, tra la Nuova Zelanda e la penisola
Iberica, a distanza di ormai vent’anni dall’inizio
dell’avventura di Dreams Road?
«Appunto come dici abbiamo tagliato il traguardo dei
vent’anni di quest’avventura – anche se visto com’è andato
il 2020, penso sia meglio rimandare all’anno prossimo le
celebrazioni…. – di viaggi e di emozioni, anche se non è
un’idea partita proprio da noi, ma da un editor di Mondadori
che ci ha proposto questa avventura, che abbiamo preso
davvero come se fosse un nuovo viaggio, non essendoci mai
misurati con la scrittura di un libro. È stato difficile
selezionare pochi viaggi tra i tantissimi fatti, quasi tutti
sono nel cuore, ma dovevamo giocoforza limitarci a sette,
per cui abbiamo deciso di toccare tutti i punti del pianeta,
partendo dalla Nuova Zelanda, passando per Vietnam,
Sudafrica, Himalaya – che abbiamo visitato due volte, il
vero viaggio del cuore – Europa, fino al deserto di Atacama,
in Cile».
E a proposito dell’Himalaya, è qui che avete vissuto una
grande emozione incontrando il Dalai Lama, vero?
«Sì. Quando incontri persone come lui, o come il papa (che
non ho però mai incontrato) sono emozioni che restano. Siamo
andati la prima volta lassù per portare aiuti a una scuola
gestita proprio dalla sorella del Dalai Lama, che ci ha
fatto questa grande sorpresa; rimangono nel cuore questi
momenti, persone speciali che lasciano il segno. Con un
momento anche divertente, in cui Sua Santità, vedendoci
arrivare a bordo di motociclette che portavano i colori
tibetani, ci ha accolto con sorpresa e entusiasmo,
raccontandoci che da giovane anche lui aveva guidato una
moto, che non sapendo guidare l’aveva fatto cadere. Per
dirti come si è svolto, in atmosfera friendly».
Quindi anche la solidarietà ha trovato spazio nelle
vostre incursioni.
«Abbiamo sviluppato tre progetti solidali, due legati al
popolo tibetano e uno in Africa, una clinica mobile al
servizio dei luoghi privi di presidi sanitari. Riteniamo
importante e imprescindibile nella vita di ognuno seguire
quell’insegnamento di Gandhi secondo cui nessun uomo è
inutile se alleggerisce il peso di un altro uomo. Compiere
un gesto d’amore è sempre importante, sono magari granelli
di sabbia nell’infinito, ma sempre un punto di partenza».
Tramite i
social possiamo constatare che in poche settimane il
libro ha riscosso notevoli consensi, non solo tra gli
appassionati delle due ruote e viaggiatori: quali
apprezzamenti ti hanno particolarmente fatto piacere?
«Forse sentire che il libro non ha tradito il modo di
raccontare nostro, inteso come quello che usiamo in video, e
la gente me lo scrive. E nella difficoltà del momento
abbiamo finito il libro proprio durante la pandemia, è stato
anche ‘terapeutico’, perché ci ha permesso come di andare
lontano da quello che stava succedendo almeno per alcune
ore, ripercorrendo questi momenti».
Ma inevitabilmente la promozione del libro ha risentito e
risente delle difficoltà legate alla pandemia: come avete
cercato, se possibile, di fronteggiarle?
«Durante la stesura del libro speravamo di andare a
presentare il libro incontrando i nostri spettatori,
stringergli la mano, abbracciarli, ed è quello che anche
loro, da quello che ci scrivono, avrebbero voluto. Purtroppo
non è stato possibile, i social ti possono aiutare ma non è
la stessa cosa, e speriamo davvero che se non è stato
possibile farlo adesso per un prossimo libro rimedieremo.
Digitale sì, ma virtuale no, è quello che penso, abbiamo
ancora bisogno di abbracci e non distanziamento».
Quando ci sentimmo la prima volta, mi avevi parlato di
tre posti dove non siete ancora andati, Alaska, Giappone e
Perù, che avete sfiorato visto che siete passati per il
Cile: potrebbero essere oggetto di una nuova raccolta in
futuro?
«Sì, sono posti rimasti ancora inesplorati dalle nostre
moto. Il post pandemia ci dà voglia di scoprire nuove mete;
non so se ci sarà un nuovo libro, ma lo spero, proprio per
il fatto di aver parlato solo di sette posti tra i tanti che
abbiamo raggiunto. Come l’Argentina, che amiamo tanto, la
Colombia, l’India del sud… chissà, vedremo, intanto speriamo
di poter andare avanti a raccontare ancora come guide i
nostri viaggi, la mission di Dreams Road, che devono essere
i viaggi di tutti, e ci fa piacere sentire i telespettatori
che ci dicono “ci è sembrato di essere anche noi con voi
sulle vostre moto”».
Dopo vent’anni di messa in onda dove si possono trovare
nuovi stimoli per continuare questi “sogni su strada”?
«Si devono trovare, ma per noi è abbastanza facile. Ho
capito che i veri viaggiatori non si fermano mai, ho
conosciuto anche persone di 90 anni che però hanno ancora
l’entusiasmo della gioventù, fosse per un viaggio lontano o
vicino casa per scoprire luoghi sconosciuti. E dico loro
“vorrei arrivare alla vostra età con questo spirito”».
Hai mai pensato di poterti cimentare in una nuova
esperienza in un diverso contesto da quello delle due ruote?
«Pensato, sì. Sono molto curiosa, vent’anni fa facevo
l’architetto e ho quasi cambiato in un lampo la mia vita.
Sono sempre aperta a nuove esperienze, come lo è stato
scrivere questo libro che un tempo non avrei mai immaginato.
Chissà… dopo aver rivoluzionato la mia vita allora, potrebbe
succedere nuovamente».
Cosa rappresenta per te Emerson, se posso chiudere con
una domanda banale?
«Che domandone – ride, ndr - Emerson è la mia vita, il mio
compagno di vita e di lavoro, condividiamo tutto. È una
persona importante per me, generosa, curiosa, entusiasta
della vita, e questo è contagioso per chi lo conosce, che ha
contagiato anche me, e continua a farlo. All’inizio, quando
non ero ancora una viaggiatrice esperta, mi ha fatto da
‘guida’, per così dire, e mi ha fatto acquisire sicurezza.
Dico sempre che Emerson è l’amico che tutti vorrebbero
avere, e sono certa che non mi smentiranno i suoi amici».