Telegiornaliste anno XIII N. 15 (525) del 3 maggio 2017
Sara
Jane Ceccarelli, la mia vita in musica
di
Alessandra Paparelli
Incontriamo l’artista
Sara Jane Ceccarelli, pianista, cantante jazz,
concertista, interprete: cantante in 10 lingue diverse e di
vari generi musicali.
Come ti sei avvicinata alla musica? A che età?
«Sono figlia di un musicista, e la considero una grande
fortuna: a 3 anni mio padre ha deciso di farmi studiare
pianoforte con un’insegnante giapponese, e credo che questo
abbia fortemente influito sul mio modo di vivere la musica:
inchini, respiri, piccoli gesti “sacri” prima di iniziare a
suonare; dopo 10 anni di studio con lei, insieme a mio
fratello, una breve pausa e ho iniziato poi a cantare,
all’inizio per gioco: cantavo un brano ai concerti di mio
padre, o ai saggi della scuola. E poi a 19 anni è iniziato il
duo con mio fratello».
Come nasce la tua passione?
«La parola passione è emblematica: l’etimologia latina e greca
riconduce ai verbi soffrire, patire, ma anche provare una forte
emozione. Direi che è la definizione che più mi si addice,
perlomeno a livello emotivo; è una dimensione così
profondamente intima che per un lungo periodo ho preferito non
averci a che fare seriamente: sentivo che apriva porte troppo
delicate. Forse è per questo che ho cantato per moltissimi anni
esclusivamente cover, mai presa la penna in mano. Cantare cose
di altri mi faceva sentire protetta. Poi, all'improvviso, black
out totale, e in breve tempo mi sono trasferita a Roma, mi sono
diplomata in canto jazz, ho ripreso a studiare pianoforte
moderno, tante collaborazioni e ho scritto le mie prime
canzoni. Tra lacrime e struggimenti, dubbi e paure, ma anche
molta emozione. Ed è arrivato così l mio primo disco,
Colors».
A quali artisti ti ispiri oggi e ti sei ispirata
precedentemente?
«Ho ascoltato la musica più diversa, da sempre, anche se avevo
la tendenza ad ascoltare un intero album per volta, a volte per
mesi e mesi. Ricordo alle medie di essermi “chiusa” prima con
Michael Jackson, poi con Battisti e in terza media con uno dei
primi album dei Beach Boys. Poi sono arrivati i “grandi
interpreti" tipo Stevie Wonder, George Michael, Witney Houston,
Lionel Ritchie e Rod Stewart. Mia madre, canadese, mi ha fatto
ascoltare tanta musica del nord America; mentre mio padre
trascinava i miei ascolti nel jazz... e poi tanta musica
brasiliana e d’improvviso Jamiroquai, i Quintorigo e ora grande
amore per i Police; ho ridotto l’elenco all'osso! Quando mi
sono messa a scrivere, 3 anni fa, le orecchie erano piene di
musica, diciamo che mi ha ispirata tutta la musica che ascolto
da quando sono nata».
Cosa rappresentano il canto e la musica per te?
«Ho avuto sempre la sensazione che il canto corrispondesse a
tirare fuori la parte più nascosta della mia persona. Facendone
un mestiere, si impara a gestire questa emotività anche se
rimane la sensazione di mettersi a nudo di fronte a tanti
sconosciuti: mi piace non avere perso quel pudore che per tanti
anni mi ha fatta sentire vulnerabile… mi dispiacerebbe se
sparisse. La musica, in senso ampio, è per me condivisione.
Esiste insieme agli altri, anche l’ascolto lo preferisco
condiviso. Mi piace molto stare a studio e creare insieme; come
disse Amy Winehouse, "
la fama (e i soldi) mi serve per una
sola cosa: poter collaborare con chi voglio, e stare a studio
tutto il tempo che desidero”. Condivido appieno».
Hai una famiglia di artisti che ti hanno ispirata, parlaci
di loro, di tuo fratello.
«Mi sono diplomata poche settimane fa in canto jazz al Santa
Cecilia di Roma, e la mia tesi era dedicata a mio padre e ancor
più a mio fratello, che è da sempre il mio socio, come mi piace
chiamarlo: abbiamo mosso i primi passi insieme (reali e
metaforici), tra me e lui c’è solo un anno di differenza;
abbiamo gusti musicali molto simili, e questo lo dobbiamo a mio
padre che ci ha fatto ascoltare moltissima musica e soprattutto
portati e tanti live sin da bambini. Gli altri due fratelli non
sono musicisti ma grandi appassionati di musica: mi ispiro per
assurdo anche a loro, invidio chi non vive di musica e mantiene
con essa quella sana distanza da appassionato; lotto anche io
per mantenere intatto il fanciullo ascoltatore in me; a casa
mia per molti anni, essendo 4 figli, c’erano sempre accesi
contemporaneamente ben quattro stereo: mio padre che suonava il
suo coda, mio fratello la chitarra in mansarda: non c’era
scampo, le orecchie si sono riempite di tutto e di più».
Sei un vero talento: canti in 10 lingue diverse, esegui vari
generi musicali, porti vari generi e fai conoscere il bello: le
persone hanno bisogno di conoscenza, di sapere?”
«I diversi idiomi sono, almeno per me, una grande ricchezza per
il canto: sono bilingue dalla nascita per cui ho sempre cantato
in inglese e in italiano; ma a queste due lingue mancano dei
suoni che ad esempio troviamo nello spagnolo, nel portoghese,
nell’israeliano, etc... mi sono specializzata sui suoni, e devo
dire che forse è ciò di cui sono più orgogliosa. Ho cantato
tanti diversi generi musicali per mia curiosità personale, e
accettato ruoli e collaborazioni con materiale anche ostico per
me, per il semplice piacere delle sfide. Ho fatto la stessa
cosa nella mia vita con gli sport, ne ho praticati tantissimi!
La curiosità credo arricchisca molto, e anche se alla fine non
si diventa completamente padroni di una disciplina (sia essa un
genere musicale, uno sport, una lingua) il fatto di averne per
un periodo “annusato” i contorni fa sentire appagati, almeno
per me è così. C’è chi si concentra su di un’unica disciplina e
chi come me sembra una pallina impazzita: anche con questo ho
dovuto fare la pace».
Sei accompagnata, tra le tante esperienze fatte e concerti
effettuati, dal maestro Simone Vallerotonda: come nasce questa
splendida collaborazione? quali suoni, quali melodie intendete
portare e far conoscere?
«Quella con Simone Vallerotonda, chitarrista barocco
(tiorba/liuto/chitarra barocca/chitarra battente) è una
collaborazione molto recente, nata grazie a Matteo Casilli, che
ha fotografato tantissimi musicisti italiani e sia io che
Simone ci ritroveremo in questo libro che uscirà a giugno con
oltre 300 volti. Gli strumenti che suona Simone sono di gran
fascino, soprattutto perché il loro suono non si ritrova nella
musica “pop”: è un suono, e un genere, solitamente relegato a
concerti in stile, e luoghi altrettanto in stile! L’idea di
Simone è quella di “sdoganare” questi strumenti sfruttandone i
colori e le peculiarità. Abbiamo suonato in duo, fatto alcuni
tentativi acustici con i miei brani fino ad aggregare Simone al
mio trio per il concerto a
‘Na Cosetta a Roma il 9
aprile, dove per la prima volta si è esibito insieme
all’elettronica: un connubio riuscito. L’idea è quella di
scrivere brani originali insieme, lui è sempre in giro per il
mondo ma inizieremo presto!».
Parliamo – infine - del disco, dei live e dei prossimi
concerti e appuntamenti.
«Il mio primo disco,
Colors, è uscito il 7 ottobre 2016,
anche se dall’aprile precedente, con la prima data in assoluto
al Monk di Roma, eravamo già in giro a fare concerti; dopo un
anno tour qua e là per l’Italia e in Danimarca, per il
Copenaghen Jazz Festival, sono orgogliosa di avere ricevuto
incredibili recensioni, devo dire inaspettate ma che ripagano
non solo del duro lavoro, ma anche dei timori… dopo anni a
cantare cover, proporre i propri brani è un po’ come
ricominciare da zero. Ora ho voglia di scrivere cose nuove e
lavorare ad un secondo progetto; per questo primo disco mi sono
affidata ad altre persone sotto molti aspetti, e non me ne
pento; ho trovato un team che mi ha permesso di dire la mia
facendomi sentire protetta. Ma ora ho le idee più chiare e meno
timori: stiamo programmando i concerti estivi e ho
contemporaneamente accettato una collaborazione per l’estate
con un gruppo che ammiro molto, e di cui presto si saprà.
Quindi, come si dice,
stay tuned!».