Telegiornaliste
anno XI N. 22 (453) del 15 giugno 2015
Diana Arcamone. La mia felicità in un libro
di
Giuseppe Bosso
Felicità. Un destino o una scelta. Diana Arcamone, scrittrice
napoletana, con il suo libro, edito da Tullio Pironti, ha riscosso
notevoli consensi.
Come nasce il suo libro e perché questo titolo?
«È un invito al lettore. La vita molto spesso ci porta ad affrontare
situazioni negative, di fronte alle quali però abbiamo la possibilità di
reagire, di puntare alla felicità che, tengo a precisare, non è nella
mia visuale un qualcosa legata a un evento straordinario, ma una cosa
tendenzialmente legata alla quotidianità».
Si può credere alla felicità in questi tempi così incerti?
«Assolutamente sì. Si tratta di attraversare diversi step; tanto per
fare un esempio metaforico, quando nasce un bambino disabile, la prima
sensazione è certamente sconforto, paura: come potrà crescere? Come
affronterà la vita in queste condizioni? Allora i casi sono due: o ti
lamenti per tutta la vita o cerchi invece di accogliere il male, la
disabilità nel modo migliore, pur consapevole che non potrà cambiare. E
in quest’ottica si arriva a quello stato di felicità che ho cercato di
descrivere. Credo che molto spesso l’infelicità nasca proprio dalla
mancanza».
Quale messaggio ha cercato di trasmettere ai potenziali lettori?
«Ho potuto constatare che molto spesso a bloccarci sono i ricordi delle
esperienze negative; il timore di ripeterle, come per esempio per una
delusione d’amore, tante volte quando si manifesta una nuova occasione
ci blocca una specie di timore di vivere una nuova amarezza. Quello che
spero che il lettore comprenda è che lasciarsi andare, non aver remora
dei propri sentimenti, anche se magari alla fine il risultato non è
quello sperato, è un primo fondamentale passo».
Dai riscontri che ha avuto è riuscita a delineare il profilo del
lettore tipo che ha apprezzato la sua opera?
«Da insegnante in un primo momento avevo pensato di indirizzare il libro
proprio ai ragazzi; col tempo però mi sono accorta che in realtà quello
che andavo a scrivere poteva rivolgersi a tutti: da mia madre, che ha
ottantasette anni, al ragazzo della mia classe; pur esaminando argomenti
legati in parte alla psicologia, quindi non facilmente comprendibili da
tutti, in realtà alla fine il risultato finale è qualcosa che si presta
ad essere apprezzato da ogni fascia d’età, alle prese con le sue
problematiche, le sue gioie e i suoi dolori, che nella loro diversità
vengono comunque accomunate dall’impostazione che le ho descritto. Tutti
a un certo punto avvertiamo un certo disagio legato alla necessità di
dare una svolta alla nostra esistenza».
È più difficile essere scrittrice o insegnante?
«Non esiste per me una cosa più difficile; l’importante è fare tutto con
passione, cosa che non deve mancare mai nella vita. Al momento entrambe
le cose mi appassionano, anche se in questo particolare momento storico
non si può dire che la scuola viva una fase positiva, e conseguentemente
non riesce a svolgere la sua funzione nel modo migliore. E non mi
riferisco solo e tanto alla mancanza di risorse; questa ‘invasione’ di
immagini, che proietta i ragazzi a vivere come una grave mancanza il non
avere il cellulare o il vestito più in voga del momento, è un fenomeno
che proprio la scuola dovrebbe riuscire ad arginare. Così come per
quelle persone che inseguono la ricchezza a tutti i costi e poi, una
volta ottenuta, non sanno come spenderla».
Continuerà a scrivere?
«Sì, adesso che l’anno scolastico è finito avrò più tempo per dedicarmi
alle mie ricerche, e credo che il prossimo libro parlerà della felicità
‘scientifica’, basandomi su degli esperimenti che ho compiuto su me
stessa per cambiare il mio modo di pensare».
Quali scelte ci saranno nel suo destino?
«Non penso al domani, ma all’oggi. Credo soprattutto che la gratitudine
sia il sentimento che fa apprezzare meglio le cose che abbiamo e ci
faccia vivere sereni».