Telegiornaliste
anno III N. 36 (114) dell'8 ottobre 2007
Prisca Taruffi: la F1 dalla spy story al trucco di Nuvolari
di Pierpaolo Di Paolo
La
McLaren è stata recentemente condannata
con la perdita del mondiale costruttori
e cento milioni di dollari di multa.
Una sentenza che potrebbe determinare la bancarotta per la scuderia inglese, se
si considera che la maggior parte degli introiti proviene proprio dal mondiale
costruttori, che gli sponsor - per ragioni di immagine - potrebbero ora
abbandonare la squadra, e che i rapporti nel team sembrano seriamente
compromessi a seguito della collaborazione di Alonso con la giustizia sportiva.
E’ il periodo più nero che la Formula
1 abbia mai attraversato in tutta la sua storia. Chiediamo un’opinione a
Prisca Taruffi: figlia d’arte,
campionessa italiana di rally e giornalista.
Cosa pensa dello scandalo della spy story
che ha sconvolto il mondo della F1?
«Sono sorpresa, anche se purtroppo il mondo
dello sport - e il calcio insegna - ci ha già amareggiato con precedenti molto
gravi. Per la F1 è una fase sicuramente delicata in cui si stava cercando, anche
attraverso nuovi regolamenti, di recuperare quello spettacolo che si é un po'
perso negli ultimi anni.
Questa vicenda cade proprio nel momento meno
opportuno, colpendo gravemente l'immagine di un mondo che stava lavorando al suo
rilancio.
Purtroppo quando girano così tanti soldi gli
interessi in ballo sono tali che alla fine vengono fuori queste brutte storie.
Ha proprio ragione Montezemolo: questa é
veramente una brutta storia».
Un aiuto insperato é arrivato proprio
dalla collaborazione del "nemico" Alonso, non trova molto strano questo aspetto?
Ron Dennis ha lasciato intendere che alla base di tutto ci sarebbe stato un
ricatto proprio di Alonso...
«Alla base del rapporto incrinato tra Ron
Dennis e Alonso c'è sicuramente il fatto che Hamilton, nonostante Alonso sia il
due volte campione del mondo, è stato ed è un pilota molto protetto in casa
McLaren. Se a ciò aggiungiamo che Hamilton si é rivelato una vera e propria
sorpresa in questo campionato, ne viene fuori una miscela esplosiva, generatrice
di forti squilibri nella squadra e inevitabili tensioni in tutto l'ambiente. Per
Alonso dev'essere un momento sicuramente difficilissimo.
Detto questo, io non gli getterei tutta la
croce addosso per via delle email, sono pilota anche io e posso dire che in casi
come questi i piloti c'entrano molto poco, nel senso che se certamente Alonso
sapeva, allo stesso modo sapeva tutta la squadra».
Una vicenda del genere sarebbe sembrata
fantascienza ai tempi di suo padre? Certo, essere considerato il pilota più
importante di un team doveva avere anche allora un grande peso...
«Io che sono figlia di un campione d'altri
tempi posso dire che sono due realtà diversissime.
Innanzitutto non c'erano i soldi che ci sono
adesso, mia madre fa sempre la battuta che se mio padre avesse corso nella F1
odierna noi ora andremmo in giro in elicottero!
Ma non era solo questo: quando i piloti
partivano si salutavano, perché si sapeva in quanti si partiva ma non si sapeva
mai in quanti si arrivava, né come. Il livello di sicurezza non era certo quello
attuale e questo contribuiva a creare tra i piloti un senso di solidarietà, di
rispetto, un savoir faire che oggi non esistono».
I piloti attuali sono quindi meno
cavalieri e solidali rispetto a prima, ma è vero che hanno anche meno
personalità? Campioni come Taruffi e Nuvolari erano circondati da un carisma che
oggi non si avverte, come se lo spiega?
«E' verissimo, ma è determinato dalla diversa
realtà del pilota attuale.
Senza risalire fino ai tempi di mio padre,
ancora Senna e Prost sono due figure inarrivabili per i campioni attuali.
Negli Anni '80 il pilota scendeva ancora
dalla macchina con le piaghe alle mani, sudato, distrutto fisicamente.
Gli incidenti erano mortali, le auto
prendevano fuoco, e quando uno di loro ne usciva indenne il pubblico lo guardava
come si guarda un eroe.
Oggi il livello di sicurezza è elevatissimo,
i piloti si vanno a schiantare a 300 all'ora uscendone praticamente illesi e lo
sviluppo tecnologico delle auto è tale che quando entrano in un abitacolo
sembrano più esperti di computer che piloti veri: questo rende il rapporto col
pubblico molto più distaccato, é tutto sicuramente meno coinvolgente».
Piloti meno carismatici e meno importanti
nella corsa: allora è vero che vince soprattutto la macchina?
«Nel complesso il pilota ha perso il ruolo
predominante, adesso c’è un insieme di fattori che devono coincidere per
ottenere una vittoria.
Il pilota più forte del mondo se non ha
l’auto competitiva non può emergere, mentre anni fa faceva ancora la differenza.
Vinceva da solo».
Ma erano così forti che potevano guidare
una macchina da corsa solo con i piedi? E' entrata nella storia la corsa in cui
Nuvolari fece due giri sventolando il volante alla folla.
«No, quello era un trucco. Nuvolari era
sicuramente un pilota fortissimo, un temerario o - come diceva spesso papà - uno
scavezzacollo; ma era anche un divo, uno cui piaceva tanto fare scena.
Quando toglieva il volante ne rimaneva sempre
un pezzo che gli consentiva di guidare lo stesso, ma di questo la folla non
poteva accorgersi e andava in visibilio.
Col tempo la storia è entrata nella leggenda,
ma è solo una fiaba: neppure un grande di allora come Nuvolari poteva guidare
senza volante».
Piero Taruffi ed Enzo Ferrari, due amici
ma anche due personalità molto forti: è stato tutto rose e fiori?
«E' stato un rapporto caratterizzato da
rispetto reciproco ma anche forti contrasti. Mio padre era ancora solo un pilota
di moto quando Ferrari lo notò e gli diede la sua prima grande occasione, e di
questo papà gli è sempre stato grato.
Certo erano due personalità molto forti, e di
contrasti ce ne furono parecchi: quando arrivavano certi ordini di scuderia o
quando Ferrari dava la macchina migliore ad un altro pilota mio padre ci
rimaneva male, oppure una volta mio padre rifiutò di fare una corsa perché si
doveva sposare e Ferrari non era certo un tipo molto comprensivo».
Ma oltre che pilota Piero Taruffi era
anche un ingegnere: anche questo ha avuto un ruolo nel loro rapporto?
«In pochissimi ricordano mio padre per
questo, ma è vero, lui era ingegnere e scriveva relazioni molto dettagliate cui
Ferrari era interessatissimo. Taruffi diceva sempre la verità, ed era
sicuramente un uomo poco malleabile, quindi anche questo campo diventava sovente
scenario di scontri e discussioni».
E i tuoi obiettivi per il futuro?
«Sono in partenza per una gara molto
importante. Come mio padre, anche io ho amato di più le gare su strade che
quelle su pista, e sono tre anni che corro in questa affascinante competizione
sul deserto, il Rally dei Faraoni. Devo sicuramente ringraziare di questo il mio
fantastico team Leaseplan, che ha reso possibile questa mia nuova avventura.
Poi uno dei miei prossimi obiettivi sarà
quello di partecipare alla Parigi Dakar, magari non quest’anno ma spero tanto
l’anno prossimo».