Telegiornaliste
anno IV N. 22 (147) del 9 giugno 2008
Marco Rossi, voce all'Emilia Romagna di
Giuseppe Bosso
Marco Rossi, giornalista professionista
dal 1996, è coordinatore della redazione bolognese del Tg di
E-tv Rete 7, dove lavora da 18
anni.
Gioie e dolori di un giornalista dell’Emilia Romagna?
«La nostra regione non è terreno fertile per la cronaca rispetto ad altre grandi
città dove è sempre all'ordine del giorno, ma ciò non vuol dire che non esista.
Anzi, ce ne siamo occupati spesso, a partire dall'inizio degli anni 90 per i
fatti della Uno Bianca fino ai giorni nostri tra incidenti, risse, violenze».
Questo significa che la sua regione è ugualmente in grado di offrire una
buona base di partenza per un aspirante giornalista?
«Direi né più né meno di altre regioni. Certo, non possiamo fare un confronto
con gli standard delle grandi metropoli come Milano e Roma, ma nel nostro
piccolo ce la caviamo».
Grillo ha preso di mira l’Ordine
dei giornalisti, tanto da chiederne l’abolizione: cosa ne pensa?
«La richiesta di Grillo non interessa nessuno. Comunque l'esigenza di riforma
dell'accesso alla professione è ben nota a tutti i giornalisti. Io direi che,
più che abolire l’istituto, va riformato a cominciare dalle vie di accesso alla
professione che vanno regolarizzate assolutamente per combattere un vero e
proprio far west che si è creato. E’ importante che accedano persone competenti
e culturalmente preparate, proprio per quello che richiede un mestiere bello e
difficile come il nostro».
Si trova meglio a interagire con colleghi uomini o con donne?
«Con uomini, ma a scanso di equivoci spiego subito il perché: rispetto alle
donne non avverto tutta quella competitività e quella difficoltà di gestione
che, come coordinatore, mi sono trovato spesso ad affrontare. Al di là di
questo, comunque, la professionalità è la prima cosa a cui tengo e da questo
punto di vista posso dire di aver lavorato con persone valide, sia uomini che
donne».
Le notizie che più ha piacere di dare e quelle che non vorrebbe mai
affrontare nel telegiornale?
«Lavorando in una tv locale, il primo obiettivo è raggiungere il territorio in
cui si opera, le persone con cui si è più a stretto contatto, per cui è chiaro
che siamo sempre felici di poter parlare di cose belle, di fatti positivi che
abbiamo modo di seguire dal vivo. Le notizie sui prezzi e argomenti simili sono
ormai all'ordine del giorno e vengono raccontate per come sono, senza
particolare entusiasmo ma anche senza problemi, cercando di approfondire il
perché. Quelle di cronaca, soprattutto quando si riferiscono a fatti drammatici,
sono sempre le più difficili e spiacevoli da raccontare».
Il caso Travaglio-Schifani, al di là delle polemiche, ha riportato
all’attenzione il problema della libertà di informazione nel nostro Paese e del
rapporto con le istituzioni. Lei cosa ne pensa?
«Non è un luogo comune dire che la politica ci condiziona. E’ un problema molto
presente nel nostro Paese e non si può dire che siamo del tutto liberi. Quanto a
Travaglio, lo ritengo
indubbiamente un ottimo professionista e una persona in gamba, però penso che
bisogna distinguere tra le denunce che si fanno in base a fatti circostanziati e
precisi, sui quali non si può obiettare nulla, dalle affermazioni gratuite per
le quali occorrerebbe un vero contraddittorio».