Telegiornaliste anno IV N. 5 (130) del 11
febbraio 2008
Maurizio Decollanz, la conoscenza come esigenza comune
di Valeria Scotti
Giornalista
professionista dal 1999,
Maurizio Decollanz si avvicina
giovanissimo al mondo del giornalismo. Dopo aver lavorato per alcuni quotidiani
nazionali, a Sei Milano tv e a Telereporter tv, approda a Odeon dove oggi cura e
conduce
Rebus, questioni di conoscenza.
"Capire e conoscere la verità, qualunque essa sia" è il
filo conduttore del tuo programma. Un bilancio delle prime due edizioni di
Rebus, questioni di conoscenza?
«Un bilancio positivo e certamente lusinghiero. Rebus
è stata accostata a molte trasmissioni a cui assomiglierebbe
ma, in poco tempo, credo sia riuscita a trovare una propria spiccata
personalità. La scelta delle tematiche e, soprattutto, il modo di affrontarle,
ne ha fatto un punto di riferimento dell’informazione senza bavaglio. Dalle
teorie complottiste sugli attentati dell’11 settembre 2001 al rapimento Moro,
dai cerchi nel grano al caso Zanfretta, dalle scie chimiche alle verità storiche
su Gesù, non ci siamo mai fermati alle apparenze o alle verità convenzionali.
Anzi, abbiamo voluto dare ampio spazio a tutto quello che l’informazione
ordinaria non dice».
In principio c’era Piero Angela. Poi si è ingrandito
l’interesse verso la scienza, verso gli enigmi del mondo. Pura curiosità o un
tentativo di tenere sotto controllo ciò che ci circonda?
«Concordo nel considerare Piero Angela il padre morale di
molti giornalisti, me compreso, e di molte trasmissioni televisive. Grazie a
lui, la sete di conoscenza è diventata un’esigenza comune. Rebus, questioni
di conoscenza
risponde proprio al bisogno di trovare risposte, di ampliare
la consapevolezza che abbiamo di noi e di ciò che ci circonda. L’informazione è,
secondo me, il più grande baluardo difensivo della democrazia. Essere informati
significa far parte integrante di questo baluardo».
Rebus ti ha portato anche fuori dallo studio
televisivo. Hai lavorato, infatti, ad alcuni reportage in giro per il mondo.
Qual è stata l’esperienza che ripeteresti?
«Quella dei reportage, come è facile intuire, è la parte più
elettrizzante del mio lavoro. In Italia come all’estero, poter toccare con mano
la realtà che stai studiando è magnifico. Interrogarsi sulle tecniche
costruttive che hanno portato all’edificazione della piramide di Cheope in
Egitto mentre ti trovi dentro di essa, investigare sull’ossessione dei Maya per
i numeri mentre ti trovi al confine tra Honduras e Guatemala, in piedi davanti
alla scalinata geroglifica di Copàn, è indescrivibile. Potendo, ripeterei tutte
queste esperienze».
Tra i vari misteri che hai trattato, c’è una storia in
particolare che, secondo te, non raggiungerà mai sufficiente chiarezza perché le
verità sono state celate bene o dimenticate?
«Credo di no. Sono convinto che la verità non possa essere
tenuta nascosta all’infinito. E’ solo questione di tempo e caparbia. Niente può
resiste ad un’ostinata e onesta ricerca».
Rebus ha visto la presenza anche di
Massimo Polidoro con il suo spazio L’inspiegabile
spiegato. Come è nata la collaborazione tra il programma e il CICAP?
«E’ nata dalla grande stima che ho per Massimo. Non sempre
condivido il suo approccio. Specie su certi argomenti. Ma la sua onestà e la sua
dedizione alla ricerca della verità ne fanno una grande persona e un validissimo
aiuto per Rebus».
C'è la premessa - e la promessa - di una terza edizione di
Rebus, questioni di conoscenza?
«Non spetta a me deciderlo, ma al direttore dei Programmi di
Odeon, Riccardo Pasini. E’ grazie a lui che Rebus è nata. Non temo di
sbilanciarmi molto, però, dicendo che prevedo una terza edizione. Intanto, vi
ringrazio per questa intervista. Vi seguo e vi stimo molto da sempre».