Telegiornaliste
anno II N. 40 (72) del 6 novembre 2006
Marta Carissimi, talento da vendere
di Mario Basile
Diciannove anni, centrocampista e, soprattutto, talento da
vendere. Bastano queste poche righe per descrivere Marta Carissimi,
calciatrice in forza al
Torino Calcio Femminile guidato da Giancarlo Padovan.
Gli esperti non hanno dubbi: lei, la stoffa della
campionessa ce l’ha eccome. Ai complimenti, però, risponde con grande umiltà.
«Questi esperti non so chi siano, ma penso debbano un attimo rivedere le loro
affermazioni (ride,
ndr). Non mi considero un talento, ma semplicemente
una ragazza con tantissima passione per il calcio, che si impegna e cerca di
migliorarsi, carpendo i “segreti del mestiere” dalle compagne di squadra e dagli
allenatori. Ho la fortuna di aver giocato e di giocare tuttora al fianco di
atlete nazionali esperte come Iannuzzelli, Miniati,
Pasqui, Fuselli e Zorri. La loro
disponibilità e il loro altruismo nel trasmettermi insegnamenti, aiuti e
suggerimenti, uniti alla mia ambizione e alla voglia di emergere mi permettono
di crescere e perfezionarmi. La fiducia del mister e del gruppo nei miei
confronti è tale che per me deluderli vorrebbe dire fallire nella cosa a cui ora
tengo maggiormente. A chi mi ispiro calcisticamente parlando? Non ho particolari
modelli, anche se
Zidane e
Pirlo sono giocatori che stimo».
Sin da bambina il calcio è stato parte integrante
della vita di Marta. «Da sempre ho giocato a calcio con mio fratello e gli
amici, fino a quando poi, in quinta elementare, non sono entrata nella squadra
maschile del mio paese,
Gassino. Compiuti i 15 anni - racconta - il regolamento
mi imponeva il passaggio in una squadra femminile. Da circa un anno società,
come Torino, Chivasso,
Settimo, Chieri, mi avevano cercata. La decisione
di andare al Torino non è stata difficile: era la miglior squadra tra quelle con
cui avevo avuto contatti, la più prestigiosa in Piemonte, quella che mi
poteva permettere un palcoscenico di rilievo, vista la militanza in serie A.
Così nel giugno del 2002
sono andata a fare un torneo in Spagna: mi sono
trovata subito molto bene con il gruppo, costituito da ragazze della mia età o
poco più grandi. Posso considerare questa la tappa ufficiale del mio passaggio
in maglia granata. Infatti due mesi più tardi mi ritrovai in ritiro, ma le
ragazze non erano tutte quelle di giugno. Questo perché non ero in ritiro con la
primavera, come avevo ipotizzato, ma con la prima squadra! Quindi una
grandissima soddisfazione da subito: avrei avuto la possibilità di partecipare
al campionato di serie A e giocare con persone molto più grandi e esperte di me.
Fino a quel momento ammetto che non conoscevo nulla del
calcio femminile, a parte la
Panico, ma solo di nome, poiché l’avevo vista giocare al
“derby del cuore”.
Cinque mesi più tardi, arrivò la prima convocazione in
Nazionale under 19: un sogno realizzato. E pensare che
fino a poco tempo prima giocavo nel Gassino. Un bel salto no?».
Un bellissimo salto. Il Torino che quattro anni fa ha
creduto nella giovanissima Marta Carissimi, oggi non nasconde grandi
ambizioni. Gli ottimi risultati di inizio stagione lo confermano. «Le prime
vittorie sono sicuramente importanti - spiega Marta - ma non esaustive: siamo
solo all’inizio, la strada è ancora lunga. E per arrivare a vincere lo
scudetto e la Coppa Italia, sono queste le ambizioni stagionali,
dobbiamo lavorare ancora tanto. Bisogna migliorare sotto tutti i punti di vista
con l’umiltà che ci ha contraddistinto fino ad ora. Siamo operai, non pensiamo
di essere già diventati ingegneri!».
Fondamentale per il raggiungimento di tali obiettivi è la
coesione del gruppo. «Quest’anno la squadra è cambiata
parecchio. A partire dallo staff tecnico, che vede la sola presenza del mister
della passata stagione, mentre il preparatore atletico e alcuni portieri sono
nuovi. Sono andate via alcune giocatrici e ne sono arrivate altre. Inoltre,
persone che l’anno scorso giocavano poco, quest’anno fanno parte della
formazione titolare. Rispetto alla passata stagione, tutte le ragazze si
allenano a Torino, a parte Pasqui e Cacciatori che ci raggiungono il giovedì.
Oltre ad essere molto positivo sotto il profilo degli allenamenti – prosegue
Marta - ciò permette l’affiatamento del gruppo. Si sta formando una vera e
propria squadra nella quale si è pronte a sacrificarsi per la compagna e si
lotta veramente tutte insieme per lo stesso obiettivo, facendo forza proprio sul
gruppo nei momenti di difficoltà. Questo secondo me è quello che fino ad ora ha
fatto la differenza in campo. Il gruppo che si sta formando ritengo possa essere
determinante per il raggiungimento degli obiettivi e a volte sopperire alle
carenze tecnico - tattiche».
Spostiamo il nostro sguardo sull’universo del calcio
femminile. Un universo che cerca da tempo cerca di guadagnarsi lo spazio
che merita. «Il calcio femminile sta crescendo, ma ancora a rilento. Per
riuscire a emergere bisogna avere più visibilità, che a sua volta arriva
coi risultati importanti. Per arrivare ad essi bisogna però lavorare tanto e
farlo tutti insieme. Sembra invece che federazione, divisione e club viaggino su
binari paralleli, tutti intenti a fare bene nel loro piccolo, ad essere gelosi
dei loro traguardi, dimenticandosi che per arrivare in alto bisogna spartire le
proprie conoscenze, formare una vera e propria squadra indirizzata verso lo
stesso obiettivo».
Sembra anche che il divario economico tra squadre
ricche e meno ricche stia diventando molto più accentuato. Quasi ai livelli del
calcio maschile. «I soldi nel femminile sono pochi – dice Marta - anche
se forse, come dici tu, fino ad ora vi erano due o tre squadre economicamente
più forti che potevano permettersi le giocatrici migliori e vincere scudetto e
Coppa Italia. Ma nel giro di tre anni al massimo, poi, fallivano o perdevano lo
sponsor o chi gli permetteva quel determinato benessere. A parer mio è deleterio
un comportamento del genere. Soprattutto in un movimento che non si è ancora
affermato. Quest’anno invece tutto sembra essere più equilibrato. Mi
chiedo solo se saranno aumentate le possibilità economiche dei club o se le
risorse finanziare scarseggiano ovunque così da rendere impossibile l’ingaggio
di tante giocatrici di prestigio all’interno di una sola squadra».
Il mondo del calcio ha comunque dato moltissimo a Marta.
«Considero il calcio lo specchio della vita. Se non hai la capacità di
ribaltare un risultato sfavorevole, di reagire nei momenti di difficoltà, di
soffrire per raggiungere un traguardo, anche nel quotidiano sarai un debole, una
persona che non ha la capacità di affrontare gli ostacoli, ma preferisce
evitarli. Il calcio – racconta - mi sta insegnando proprio questo, e potermi
confrontare con persone dello stesso sesso, con le medesime paure, gli stessi
problemi, la stessa sensibilità, mi dà la possibilità di maturare e condividere
con le ragazze emozioni, dolore, vittorie e sconfitte, cosa che nel maschile non
era completamente possibile. Poi sicuramente sono arrivata in una realtà molto
diversa dalla precedente, sia perché sono passata da un calcio locale ad uno
nazionale e internazionale, sia perché ho cominciato a vivere lo spogliatoio in
tutte le sue sfaccettature: dalla felicità dopo una vittoria ai litigi tra
compagne, dalla delusione al conforto delle più esperte verso le ragazze più
giovani.
Ho avuto la possibilità di conoscere, apprezzare e stimare
giocatrici e allenatori: persone che mi hanno dato tanto, a cui io voglio molto
bene, e alle quali spero di poter dare grosse soddisfazioni e chissà, magari un
giorno, render loro grazie per avermi dato la possibilità di diventare grande. A
questo proposito voglio esprimere la mia più grande riconoscenza e gratitudine a
tre di queste persone, fondamentali per me: Betty Bavagnoli,
Rita Guarino, Giancarlo Padovan».
Ma allora è tutto rose e fiori quest’ambiente? «No. Come in
tutti gli ambienti – spiega Marta - c’è sempre qualcosa di negativo. E dal
calcio ho imparato anche questo: a non fidarmi e a non credere a tutto ciò che
mi si dice, a non illudermi, a saper discernere le persone che tengono a me da
quelle false e bugiarde, ad accettare la rottura di rapporti con persone che
consideravo leali. Ho conosciuto gente che si avvicina al calcio femminile solo
per interessi economici e personali, individui subdoli e meschini che tentano di
intrappolarti nella loro rete dalla quale è poi difficile o addirittura
impossibile uscirne; esseri umani che ti considerano un oggetto di loro
proprietà, da sfruttare fino a quando serve, per poi gettarlo nell’ oblio, quasi
dimenticarsene, ma riappropriarsene nel momento in cui qualcun altro vuol
prenderlo al loro posto.
Magari tutto ciò cambierà in futuro, un futuro nel quale mi
piacerebbe rimanere all’interno di questo movimento, per cercare di farlo
emergere sempre più e per poter tramandare alle giovani di domani, quello che
oggi compagne e allenatori stanno trasmettendo a me».
Grazie al calcio Marta ha scoperto anche il valore della
vera amicizia. «E’ vero. Con due ragazze della Nazionale under 19, ho
instaurato un’amicizia stupenda. Sono
Veronica Cantoro e Valeria Davoli. Siamo
talmente legate che il nostro gruppetto ha persino un nome “Le Orbit” (ride,
ndr). A loro va un grazie particolare: sono persone veramente speciali per
me».