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Telegiornaliste anno III N. 25 (103) del 25 giugno 2007


MONITOR Christiana Ruggeri, l'impegno per i bambini iracheni di Giuseppe Bosso

Christiana Ruggeri, nata a Roma il 28 gennaio del 1969, è giornalista professionista dal 1999. Nel 2005 ha condotto Tg2 Mistrà, per poi passare alla conduzione di Tg2 Costume e Società. E' presidente dell'Associazione Onlus I bambini di Nassiriya.
Christiana, che cos’è I bambini di Nassirya e quali scopi si prefigge?
«È una Onlus che ho fondato quest’anno, a gennaio: il nostro scopo è realizzare delle scuole (una materna, una elementare, una media) e una biblioteca italiana e islamica nella città di Nassirya, in Iraq. Speriamo, così facendo, di trasformare l’idea di lutto che suscita nelle nostre menti questa città in cui, purtroppo, sono caduti 19 tra nostri soldati e civili, in questi anni di guerra. Abbiamo individuato un terreno su cui poter edificare ex novo e una struttura edilizia da riqualificare, valuteremo quale delle due soluzioni è preferibile per il progetto».
Da cosa nasce il tuo impegno per questa iniziativa?
«Oltre a condurre Tg2 costume e società, da tre anni realizzo per Tg2 Dossier Storie e Tg2 Dossier, reportage sui Paesi del Terzo Mondo: dall’Africa al Sudamerica, all’ex Urss. Penso sia il modo migliore di fare giornalismo, ed è importante sensibilizzare la gente su queste realtà lontane e dimenticate».
Hai riscontrato sostegno da parte della gente e delle istituzioni?
«Dalle istituzioni ho ricevuto molta solidarietà a parole, ma pochi fatti concreti; però non mi arrendo: continuerò a bussare a tutte le porte, dai sindaci in su. La nostra è un’associazione italiana assolutamente apartitica e apolitica, che intende riportare nell’antica Babilonia la cultura italiana, cosa che dovrebbe interessare tutti.
Dalla gente comune posso dire di aver ricevuto piccole donazioni, delle quali ringrazio, ma sono in cerca di grandi sponsor che sostengano questo progetto. Per partire con i mattoni, dobbiamo raggiungere almeno 30 mila euro quest’estate. Sul nostro sito potrete vedere cosa stiamo realizzando: per me la trasparenza è una cosa essenziale».
Quali sono gli aiuti di cui necessita l’Iraq per risollevarsi da questa guerra che pare non avere fine?
«Sarebbe importante che una forza di pace sovranazionale, guidata dalle Nazioni Unite, si sostituisse alla presenza straniera nel territorio iracheno, cosa che considero nociva e che non aiuta certo un progetto vero di ricostruzione del Paese. È il primo passo che andrebbe compiuto».
È auspicabile che iniziative come la tua possano favorire questa ricostruzione?
«Sì, assolutamente. A dispetto di quanto si possa pensare, c’è un legame solidissimo tra l’Italia e la città di Nassirya, dove ho tantissimi amici che mi raccontano di come le madri e le mogli dei soldati in missione di pace si impegnassero nel mandare cibo, vestiti e giocattoli per i bambini, ed è proprio per questo legame consolidato che spero di mandare avanti questo progetto».
Continuerai anche quando i militari lasceranno il Paese?
«Certamente. Quello sarà il vero inizio. È nostra intenzione donare le strutture che porteremo a termine al ministero dell’Istruzione e dell’Educazione iracheno, ma fino ad allora continueremo a dare il nostro sostegno: pagando gli stipendi degli insegnanti e realizzando una vera e propria nursery. Non saranno solo i bambini ad andare a scuola, ma anche le loro mamme, cresciute nell’analfabetismo, e anche gli adulti, che nella loro vita hanno sempre firmato con una x e non hanno mai avuto il privilegio di imparare a leggere e scrivere. Non a caso il nostro slogan è “Cultura è libertà”!».
MONITOR Annalisa Corti, modestia uguale professionalità di Giuseppe Bosso

Annalisa Corti è iscritta all’Albo dei giornalisti professionisti dallo scorso anno. Laureata in Scienze della Comunicazione, ha iniziato collaborando con il quotidiano La provincia di Como mentre studiava alla scuola di giornalismo; ha partecipato ad uno stage presso Telelombardia ed ha poi lavorato all’emittente comasca Espansione Tv.
Tornata a Telelombardia, Annalisa si unisce alla redazione del telegiornale e affianca David Parenzo e Stefania Cioce nella trasmissione Prima serata alla postazione email.
E' una posizione nodale quella che ricopri nella trasmissione Prima serata in cui ti vediamo alla postazione email?
«È una posizione importante: è il punto in cui si viene a creare il contatto diretto tra il pubblico e la trasmissione, cosa essenziale per un programma come il nostro, tribuna politica e di dibattito sugli argomenti di attualità, oltre che per i continui aggiornamenti di cronaca».
Che rapporto hai con i giornalisti che affianchi, Stefania Cioce e David Parenzo?
«Direi duplice, anzitutto perché siamo una redazione molto affiatata fatta soprattutto da giovani, quindi si è creato un bel rapporto di amicizia sia con David che con Stefania; da un punto di vista professionale, poi, sto imparando molto da loro».
Quali sono i giornalisti che hai preso a modello?
«Ho avuto la fortuna di conoscere molti professionisti esperti durante il percorso che mi ha portato fino a Telelombardia, da Angelo Agostini a Giuseppe Ciulla. Ammiro moltissimo Giovanna Botteri; mi interessa molto il mondo islamico e non a caso mi sono laureata proprio con una tesi a tema, quindi ho seguito molto il suo lavoro da inviata dopo i fatti dell’11 settembre; ecco, mi piacerebbe diventare come lei, inviata in quei Paesi, anche perché adoro viaggiare».
Sei da poco a Telelombardia, ma hai già riscosso un certo seguito nel nostro forum; questo interesse nei tuoi confronti cosa ti suscita?
«Non nego che mi faccia piacere: sono molto contenta di sapere che vengo apprezzata soprattutto dal punto di vista professionale, oltre che da quello estetico».
Recentemente avete avuto modo di parlare di Vallettopoli; quante ragazze nel giornalismo hai incontrato, pronte a tutto pur di fare carriera?
«Ci sono anche nel nostro settore, persone disposte a ricorrere a certe scorciatoie pur di farsi largo, ma io credo che la preparazione, l’impegno nel lavoro e la capacità di sapersi mettere sempre in discussione alla lunga siano doti che premiano a dispetto di qualsiasi escamotage».
Se ti proponessero la conduzione di un tg a tua scelta, quale sceglieresti?
«A parte il nostro, il Tg3. Forse non sono ancora pronta per la conduzione, che rappresenta il completamento di un percorso e in cui devi saperti orchestrare nella scelta della “scaletta” delle notizie da trattare. Tutto ciò richiede un po’ più di esperienza».
CRONACA IN ROSA Vincere in famiglia? Un gioco di squadra di Silvia Grassetti

Come si ripartiscono nella famiglia moderna i lavori domestici? In modo del tutto sfavorevole alle donne: il 53% degli uomini non aiuta in casa, il 70% dei figli e il 25% delle figlie non collabora mai alle "faccende".
Nel 77% dei casi le donne, oltre ad occuparsi della casa e della famiglia, hanno anche un lavoro fuori casa e solo il 15% di questa grande parte della popolazione femminile può contare su un aiuto domestico esterno. Molto inferiore è la percentuale, pari al 7, delle donne che non si occupano delle faccende domestiche.
Rossana Ottolenghi, psicologa e psicoterapeuta famigliare, e Ugo Volli, sociologo di costume e professore di Semiotica del testo alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, sono stati interpellati da una nota catena di supermarket sulla moderna vita domestica.
Secondo la Ottolenghi, la frustrazione delle donne si può superare applicando alla famiglia il concetto di squadra: ogni membro deve accettare un ruolo, sceglierlo e portarlo avanti quotidianamente. La mamma, nel ruolo di capitano, concorda i turni, condivide con i figli le faccende; il papà nel ruolo di mister individua i ruoli, incoraggia, motiva e dà il buon esempio. Insieme premiano le vittorie raggiunte grazie all’impegno comune di tutta la squadra.
Ugo Volli ha analizzato come è vista la famiglia nella comunicazione per coglierne i cambiamenti e gli stereotipi che permangono. Sul fronte della pubblicità, le famiglie sono protagoniste indiscusse e riflettono sempre valori accettati nella vita sociale per proiettarli sulla marca. Per questa ragione la maggior parte delle famiglie rappresentate è molto tradizionale, anzi lo è stata fino a poco tempo fa.
Il padre affettuoso degli spot, commensale esigente, padrone di casa preoccupato degli ospiti, lavoratore lontano e prestigioso, nostalgico della famiglia, sta scomparendo.
La composizione della coppia è cambiata: alla tradizionale condizione di tenerezza reciproca che caratterizza lo stereotipo della vita matrimoniale, si è sostituito il gioco della seduzione e della passione.
La “santità” della famiglia si è voltata in modelli molto poco tradizionali: storie a tre, confusione di identità sessuali, gruppi più o meno trasgressivi di giovani, coppie non tradizionali si sono viste, in questi anni, a sostenere l'immagine di marche anche molto consolidate. E' una tendenza che ormai fa parte degli stereotipi pubblicitari.
E la divisione del lavoro quotidiano? Uomini che lavano i piatti mentre la moglie se ne sta in poltrona soddisfatta; mariti che lustrano il pavimento per fare una sorpresa alla loro compagna; ragazzi alle prese con i misteri degli elettrodomestici; padri che si prendono cura dei neonati, single che fanno la spesa da soli.
Un cambiamento che ritroviamo in tanti serial tv, da quelli i cui protagonisti sono solo donne (Streghe, Sex and the city), alle diverse storie narrate in soap come Un posto al sole e Centovetrine, così diverse dal vecchio modello sudamericano delle telenovelas.
Insomma un rimescolamento dei ruoli che si avverte nel luogo più delicato e frequentato della vita di coppia, quello del lavoro domestico, che ci avverte che le cose stanno cambiando: la nostra società è sottoposta a un lento ma costante spostamento di ruoli verso una condizione maggiormente egualitaria.
Non solo sul lavoro: anche nella famiglia, l'antico predominio maschile sta tramontando.
FORMAT La “nuova” tv dell’estate di Nicola Pistoia

Finalmente ci siamo: l'estate è davvero iniziata. Ce ne accorgiamo dal caldo, dalle zanzare, dalle code interminabili che s’incontrano sulle strade per il mare e soprattutto dalla noia che regna in tv. Repliche di fiction e telefilm spalmate su quasi tutti i canali televisivi. Ormai una consuetudine a cui siamo abituati.
Saltando da un canale all’altro ci si può rendere conto di quelli che sono i pochi programmi televisivi, alcuni di questi nuovi, che ci accompagneranno per tutta l’estate. Iniziando da quel simpaticone di Teo Mammucari che è tornato, al posto di Striscia, con il suo Cultura Moderna. Per novanta puntate rinfrescherà le nozioni sul mondo dello spettacolo degli italiani. Con la verve che lo contraddistingue e che ha portato Cultura Moderna a essere il programma più seguito dell’estate. Accanto a lui la “marzullinaJuliana e la new entry Lydie Pages.
Rai1, dal canto suo, non poteva certo osservare in silenzio. A dare filo da torcere a Cultura Moderna ci pensa il nuovo I soliti ignoti condotto da Fabrizio Frizzi, che torna dopo diversi anni sulla prima rete.
Nel format di Frizzi ogni concorrente deve associare dieci diverse identità ad altrettanti sconosciuti, aiutato da tre indizi che vengono forniti a ogni partita. L’abbinamento giusto vale tra i 1.000 e 100.000 euro. A ogni errore, però, il bottino si azzera.
Se l'idea di seguire questi programmi vi rattrista, vi consoliamo subito parlando dei telefilm in programmazione estiva. Oltre al fortunatissimo pseudoreality Ugly Betty, su Italia1 va in onda in prima tv Blue Water High, serial in stile Baywatch ambientato sulle spiagge californiane.
Per gli amanti appassionati del genere noir, invece, arrivano due nuovi telefilm: Killer Instinct e The Inside, in onda il giovedì sera - sempre sul canale Mediaset dedicato ai giovani - in seconda e terza serata.
Una piccola curiosità: Maurizio Costanzo ce lo ritroveremo in tv anche quest’estate. Non su Canale5, bensì sul canale satellitare Sky Vivo con un nuovo show dal titolo Stella. Tutto intorno, invece, un oceano di repliche e di cose viste e riviste decine di volte.
CULT Ustica, un fumetto per non dimenticare di Antonella Lombardi

E’ il 27 giugno del 1980: 81 persone perdono la vita a bordo di un aereo, il Dc9 della compagnia Itavia, scomparso nel mare a nord dell’isola di Ustica. A distanza di 27 anni, non si è fatta ancora luce sulle ragioni che portarono all’abbattimento di quell’aereo civile in tempo di pace.
Adesso, il fumetto Ustica scenari di guerra, della casa editrice Il becco giallo, cerca di fare luce su quell’evento. Scritto da Leonora Sartori e disegnato da Andrea Vivaldo, il volume è a cura del giornalista Fabrizio Colarieti.
«Il becco giallo è un progetto editoriale nato nel 2005, con l’idea di utilizzare il linguaggio del fumetto per raccontare la realtà con un metodo vicino alla ricostruzione giornalistica», ha detto il direttore Guido Ostanel. Nella collana “cronaca storica” sono pubblicate le storie sul disastro di Ustica, il sequestro Moro, la strage di Bologna. Il nome della casa editrice riprende quello della coraggiosa rivista satirica degli anni Venti.
«Ognuno di questi libri – continua Ostanel – è per noi un tassello della memoria collettiva negata agli italiani. Sapere chi è il mandante della strage di Ustica o chi ha messo la bomba a Bologna è un diritto che spetta ad ogni cittadino. Normalmente, in Italia, il fumetto è considerato una forma di intrattenimento puro. Noi, invece, siamo guidati dalla passione per la realtà, piuttosto che per la fiction».
Un progetto ambizioso eppure accurato, che rispetta il motto che contraddistingue la casa editrice: «Attenzione: leggere libri può causare indignazione».
DONNE Sulla strada, per amore di Tiziana Ambrosi

Fingersi prostituta alla ricerca della figlia. Questa, da più di cinque anni, è la vita di Susana Trimarco, argentina con origini napoletane. Da quel 3 aprile 2002, quando la figlia Marita non fece rientro a casa.
Marita aveva 23 anni, una bimba piccola di nome Micaela e un compagno. Era iscritta all'università e gestiva un piccolo supermercato. Una vita tranquilla, fino a che un commando della mafia della prostituzione la rapì in pieno giorno.
Non vedendola tornare, i famigliari contattano gli ospedali, fino a che, come una doccia fredda, scoprono la verità. Una telefonata comunica che Marita è stata rapita e venduta per 2.500 pesos - poco più di 600 euro.
C'è la piccola Micaela da crescere, papà Juan che cade in uno stato di depressione, il compagno di Marita che si disinteressa alle ricerche.
Susana invece non molla. In un sistema di giustizia spesso corrotto, si rende conto che deve scendere in campo in prima persona.
Con una parrucca bionda, minigonna e tacchi alti si finge una prostituta, una maitresse in cerca di nuove ragazze da comprare, e intanto mostra a chi può la foto della figlia. Cresce la speranza grazie ad alcuni avvistamenti, ma tra i ritardi della polizia, la fuga di notizie dagli ambienti corrotti delle forze dell'ordine, Marita non viene trovata.
Questa donna che scava negli ambienti della malavita alla ricerca della verità comincia a diventare un personaggio scomodo. «Hanno tentato di uccidermi due volte - dice - ma non mi fermeranno». Tra minacce di morte e tentativi di eliminarla, Susana continua a travestirsi alla ricerca della figlia.
Quella che si sta sviluppando in Argentina è una vera e propria tratta delle bianche. Donne rapite, drogate, picchiate e infine vendute, come una qualsiasi merce, ai bordelli. La legge lo permette, se si dichiarano consenzienti. E di fronte alle minacce e alla violenza è difficile dire no.
Susana non è ancora riuscita a trovare Marita, ma grazie alle sue indagini in solitaria e all'aiuto della Gendarmeria Nacional - l'unica di cui si fida - ha contribuito a salvare 96 ragazze dalla schiavitù della prostituzione.
Per dedicarsi alle ricerche della figlia Susana ha lasciato il lavoro, ha venduto l'auto e il negozio. La famiglia vive con lo stipendio di Juan, 890 pesos - 250 euro. Niente sussidi statali, nessun aiuto. Solo la generosità di alcuni personaggi famosi, come Ricky Martin, che ha offerto il suo contributo economico per fondare un'associazione contro la tratta delle bianche.
«Ritroverò mia figlia». Susana ne è sicura. Intanto le minacce continuano, e oltre all'incubo della sparizione della figlia, deve preoccuparsi anche della nipotina. «Rapiremo anche tua nipote. Le faremo fare la prostituta proprio come stiamo facendo con sua madre».
E l'odissea, purtroppo, continua.
TELEGIORNALISTI Stefano Peduzzi: un debole per il Monza di Silvia Grassetti

Stefano Peduzzi, giornalista professionista nato a Milano il 25 gennaio 1979, è il fondatore di Monza News, testata giornalistica dedicata allo storico club brianzolo. Dal 2006 Stefano si occupa di calcio a tempo pieno, con la trasmissione Il Campionato dei Campioni, in onda ogni sera alle 20.30 sul circuito Odeon.
Negli ultimi mesi ci sono stati diversi scandali, nel mondo dello sport e non solo: credi che i media facciano il loro mestiere, o in fondo, visto anche il coinvolgimento di alcuni giornalisti, si poteva dire e fare di più nei confronti del pubblico?
«Credo proprio di sì. I tifosi e i lettori credo si siano sentiti presi in giro anche da chi avrebbe dovuto raccontare la verità. Che ci fosse qualcosa di marcio nel calcio è sempre stato un sospetto comune, ma tutto quello che è poi emerso dal processo di Calciopoli credo che in pochi l'avrebbero previsto».
Come giornalista sportivo ed esperto di calcio, qual è la tua opinione sui colleghi coinvolti in Calciopoli, da Biscardi, a Sposini, a Chiara Geronzi?
«Non sono certo io a dover giudicare i colleghi che sono stati coinvolti in questa vicenda. Il processo mediatico c'è stato per i veri protagonisti che hanno sconquassato il mondo del calcio, ma sono stati tirati in ballo anche molti giornalisti seri e al di sopra di ogni sospetto come Lamberto Sposini. Il fatto di aver ricevuto delle telefonate da Moggi, che si complimentava per alcuni attacchi fatti dall'ex condirettore al Tg5 non possono certo mettere in dubbio la serietà e la professionalità di Sposini».
Quali altri sport segui con passione e vorresti magari trattare tu stesso durante una tua trasmissione?
«Quest'anno su Odeon mi hanno affidato la conduzione di alcuni approfondimenti legati ad altri sport come motori, sci, basket e pallavolo.
Ma il calcio è sempre stata la mia passione e mi piacerebbe in futuro poter condurre una trasmissione sui campionati di cui si parla meno, come quelli di serie C. Ci sono tanti potenziali campioni che giocano in "piazze" blasonate che meriterebbero più spazio in tv».
Cosa fa nel tempo libero Stefano Peduzzi?
«Di tempo libero ne ho poco. Cerco sempre di accumulare giorni di ferie perché ogni anno organizzo almeno due o tre viaggi all'estero. Quest'anno spero di andare in Honduras e nelle Filippine, due Paesi ancora poco conosciuti che nascondono molti paesaggi da scoprire».
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
«Mi piacerebbe continuare su questa strada, riuscire ad affermarmi in quello che sto facendo. Credo che nella vita aiuti molto lavorare divertendosi. Il mio sogno nel cassetto era quello di diventare giornalista e ci sono riuscito prima di quanto pensassi. E da un punto di vista calcistico sogno di vedere tra qualche anno il mio Monza in serie A».
OLIMPIA Flo-Jo, la donna più veloce del mondo di Mario Basile

I nostalgici degli anni Ottanta non hanno mai dimenticato Flo-Jo: la donna più veloce al mondo. Il suo nome vero era Florence Griffith Joyner. A pronunciarlo tutto d’un fiato è musicale, sinuoso e armonioso come il corpo a cui apparteneva.
Già, perché la donna più veloce del mondo agli occhi di tutti era bellissima. Ed avevano ragione. Occhi neri, pelle ambrata e gambe lunghissime. Ai nastri di partenza delle gare di atletica, la sua specialità erano i 200 e i 100 metri, catturare le attenzioni di tifosi e spettatori non era cosa difficile. Anche il look contribuiva: trucco leggero, unghie finte decorate, body che esaltava le forme e che talvolta arrivava a coprire una sola delle due gambe. Tutto rigorosamente intonato. Le gare per Flo-Jo erano un appuntamento da non fallire sotto ogni punto di vista.
Nel 1988, alle Olimpiadi di Seul, non solo non le fallì, ma si tolse lo sfizio di essere immensa. Vinse i 100 metri col tempo di 10’’ 49. Record del mondo dell’epoca e record del mondo ancora oggi. Nessuno ha saputo fare meglio.
Flo-Jo fu regina anche dei 200 metri, bissando il risultato medaglia-record. In finale il cronometro segnò 21’’ 34. Quello precedente l’aveva stabilito sempre lei, pochi giorni prima in semifinale. A quasi vent’anni di distanza pure questo primato persiste ancora. La stupenda olimpiade di Flo-Jo fu suggellata da un altro oro nella staffetta 4x1000 e da un argento in quella 4x4000.
E pensare che solo da pochi anni era diventata atleta a tutti gli effetti. Florence Griffith Joyner veniva dal ghetto. Era nata a Watts, sobborgo di Los Angeles, tristemente famoso per i tumulti del 1965. L’immensa comunità nera, stanca delle ingiustizie, si era ribellata contro i bianchi. Finì con il quartiere devastato, una trentina di morti e oltre mille feriti. Flo-Jo aveva solo sei anni.
A sette cominciò a praticare l’atletica leggera. Qualche anno dopo la notò un allenatore di nome Bob Kersee che, intuendone le capacità, la indirizzò a frequentare l’università in California. Qui Florence si tolse belle soddisfazioni trionfando in diverse gare studentesche. Ma non scelse la strada del professionismo: preferì lavorare per aiutare la famiglia e pagarsi gli studi. Si laureò nel 1983 in psicologia. Intanto faceva l’impiegata in banca e l’atletica era solo un passatempo.
Finché Kersee non ripiombò nella sua vita, la convinse a gareggiare e trasformò la semplice impiegata in atleta: fu l’uomo della sua vita, professionalmente parlando. Il compagno di Flo, invece, si chiamava Al Joyner e faceva il triplista; da lui prese il cognome dopo che ne divenne moglie nel 1985. Dalla loro unione nacque due anni dopo la piccola Mary Ruth.
Seul ’88 ripagò tutti i sacrifici di Flo-Jo. In quell’estate lei fu l’emblema del sogno americano: chiunque, a prescindere dalla razza e dall’estrazione sociale, poteva ritagliarsi il suo pezzo di gloria. Erano gli anni Ottanta e il mondo stava cambiando: di lì a poco sarebbero finiti il comunismo e la guerra fredda. Erano gli anni Ottanta e l’atletica era investita da continui scandali di doping.
Quando Florence Griffith Joyner decise di ritirarsi, a soli 29 anni, dopo essere entrata nella storia, in molti videro qualcosa di losco. Si affacciava il sospetto del doping anche se nessuna prova supportava quest’ipotesi. Niente trucchi: Flo-Jo aveva solo voluto lasciare da vincente, da assoluta campionessa.
Si dedicò alla moda e alla pubblicità. Fu anche consulente sportiva del presidente Bill Clinton e riprese una vecchia passione giovanile: scrivere fiabe per i bambini.
Nonostante si fosse ritirata da tempo i tifosi la amavano ancora. E fu, perciò, grande la commozione, quando nove anni fa si spense improvvisamente in pieno sonno. Aveva 38 anni. Si riaffacciò ancora lo spettro del doping. L’autopsia accertò, invece, che si era trattato di una crisi di epilessia.
Il mito della donna più veloce del mondo non è stato infangato.
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